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Ecco perché la coalizione di Obama anti-Isis non avrà vita facile. Parla il generale Camporini

Per il presidente americano Barack Obama, intervenuto a poche ore dall’11 settembre con un discorso alla nazione, la minaccia ormai globale dell’Isis può essere eradicata al meglio con un’azione militare basata su una coalizione internazionale che includa anche Paesi arabi.

Un piano che il generale dell’Aeronautica Militare Vincenzo Camporini – ex capo di Stato maggiore della Difesa, attualmente vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali – in una conversazione con Formiche.net definisce “necessario“, anche se ancora poco chiaro e, soprattutto, dai risvolti incerti. Ecco perché.

Generale, come commenta il discorso di Obama che ha ufficialmente aperto la guerra all’Isis?

Mi è parso un discorso nebuloso, buono per elencare dichiarazioni di intenti più che un programma vero e proprio.

Come valuta il suo appello ad aggregare una grande coalizione che comprenda anche Paesi arabi spesso ambigui, come l’Arabia Saudita?

La necessità di una coalizione che contrasti il gruppo jihadista è nelle cose, anche se è poco chiaro come la si potrà costruire. Attorno al progetto di Obama c’è un grande entusiasmo mediatico, ma ancora scarso interesse a impegnarsi sul serio. Nelle prossime settimane vedremo come risponderanno gli alleati e se le parole si tramuteranno in fatti.
Quanto al coinvolgimento dei Paesi arabi, questo è estremamente importante per l’Occidente, ma anche per gli Stati islamici stessi. Anche se spesso orientati a una politica del doppio-gioco, si rendono contro che partecipare attivamente a un’iniziativa del genere è l’unico modo per evitare che il conflitto si connoti come una pericolosissima guerra di religione.

Eppure non mancano “alleati” riluttanti, come la Turchia.

Ankara è l’esempio perfetto di come questa coalizione possa arenarsi proprio di fronte all’ampia divergenza di veduta e di interessi degli alleati. La Turchia è tendenzialmente d’accordo sul contrastare l’Isis, ma ha paura a dotare di armi pesanti i peshmerga curdi. Teme che il rafforzamento della componente curda irachena possa poi fare da calamita per i curdi sparsi negli altri Paesi, compresa la Turchia stessa, ricompattando un popolo ora diviso. Per questo l’intervento dell’Occidente non dovrà tenere conto solo dei problemi, pure urgentissimi, come la persecuzione dei cristiani, ma anche degli equilibri strategici sul lungo periodo.

In questo weekend l’ennesima decapitazione. Stavolta a farne le spese è stato il cooperante britannico David Haines. Che tipo di strategia è quella dell’Isis?

Il gruppo di al-Baghdadi utilizza una strategia dal forte impatto mediatico. L’utilizzo del mondo dell’informazione è forse lo strumento più forte di questi terroristi, che definiamo tali proprio perché spargono terrore. Ma ha anche la funzione di lanciare un messaggio di chiamata nei confronti di quegli individui deboli che decidono di diventare foreign fighters. Il vero problema è che noi, finora, abbiamo contrapposto a questa minaccia solo la nostra indignazione. E mi pare ben poco. Dovremmo avviarci verso un’intensificazione dei controlli, anche negli aeroporti, come dimostra l’episodio di ieri del volo Ginevra-Beirut scortato a Fiumicino per la presunta presenza di un pacco bomba. Invece mi pare che questa consapevolezza debba ancora del tutto maturare.

Dal punto di vista militare, che cosa farà la coalizione? E con quale efficacia?

Sebbene ancora poco chiaro, il piano di Obama intende puntare sul potere aereo. Un intervento che in linea teorica potrebbe funzionare, come è accaduto a suo tempo in Afghanistan, dove però a terra gli Usa potevano contare sull’Alleanza del Nord. In questo caso, invece, non è stato ancora identificato un alleato regionale in grado di svolgere quel ruolo. Forse potrebbero farlo i curdi, ma non sono visti di buon occhio dal governo iracheno. Lo dimostra il ritardo con cui Baghdad ha fatto giungere ai peshmerga le armi inviate dall’Occidente. La fase seguente, ovviamente è quella della guerriglia. In quella però bisognerà sporcarsi le mani o si correrà il rischio di condurre una guerra a metà. E le guerre a metà, come è noto, non finiscono bene.

Entrando nello specifico, in cosa potrebbe costituire l’impegno italiano?

Per il momento mi attengo a quello che ha detto il ministro Pinotti. Dovremo contribuire con velivoli di rifornimento in volo. Un pezzo pregiato della nostra aviazione, che sottolinea che il nostro non è un atto formale, ma sostanziale di sostegno all’iniziativa contro l’Isis. Ma le opzioni italiane sono molte: velivoli da ricognizione, da combattimento, Predator. Dipenderà dall’evoluzione del conflitto.​



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