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Passato, presente e futuro dell’intelligence italiana

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

L’Intelligence è il cuore e gli occhi dello Stato. Oggi, peraltro, nessuno parla più di Stato, vanno di moda le generiche “società civili”, termine preso ingenuamente in prestito da Hegel, che però riteneva la “società civile” il secondo gradino, appena lambito dalla Ragione, dopo la Famiglia, della comunità umana, al quale seguiva lo Stato, vera sedes Sapientiae, ovvero Realizzazione dello Spirito nel Mondo.

Oppure si parla di comunità, altro termine ugualmente generico e informe, di cui è arduo, a parte l’assonanza del termine con “comunismo”, definire i limiti.
Niente di tutto questo: lo Stato è l’essenza della Nazione, e la Nazione è la sostanza di tutto un Popolo, non vi è altro all’infuori di questo.

In Italia, lo diceva Cossiga, magistralmente, “manca una cultura non-militare dell’intelligence”.
Direi, oggi, che manca ancora una cultura dell’Intelligence tout court, perché il politico medio (e c’è di peggio) legge i Servizi come una sorta di Spectre incomprensibile, oppure ritiene che essi siano il suo Master di II livello in Politica Internazionale. No, i Servizi Segreti non sono un corso di recupero per uomini politici poco informati.
Ma si tratta di un dato davvero terribile, che infatti stiamo scontando ancora oggi.

I Servizi detti “Segreti” sono stati, in tutto il nostro secondo dopoguerra, lo strumento di alcuni bassi servizi per determinati gruppi di potere all’interno della classe politica e in lotta tra di loro, oppure ancora strumenti per la politica economica e finanziaria italiana all’estero, oppure ancora elementi di collegamento tra il Governo italiano e i Paesi formalmente “nemici” dell’Italia e delle sue alleanze internazionali.
Tutte cose che riguardano l’intelligence, ma non sono l’intelligence.
L’Intelligence è il coordinamento sovrano di tutte queste cose e di molte altre ancora.

L’Intelligence deve essere “sovrana” anche rispetto alla classe politica, mentre deve prendere ordini dalle Autorità preposte, ovvero il Presidente del Consiglio, ma solo quando il Premier ne sia davvero capace in re ipsa.
Altrimenti la copertura reciproca tra Servizio e Governo salta, e allora è proprio il Servizio, per le sue specificità di segretezza, che deve prendere i dovuti riguardi e le sue specifiche autoprotezioni.
In caso contrario, c’è sempre la via d’uscita, per il politico, di dire che “i Servizi hanno sbagliato” oppure che la nostra Intelligence non si è coordinata bene con il Premier.

I nostri Servizi dovrebbero essere capaci di ritagliarsi, e talvolta questo è accaduto, una “riserva di sovranità” da gestire poi verso la Presidenza del Consiglio, e non viceversa, come è spesso accaduto negli ultimi tempi.
Oggi siamo ben oltre il limite di guardia, per la classe politica: ci sono stati Presidenti del Consiglio che si sono preparati ad una Visita di Stato leggendo una rivista durante il viaggio in aereo, o spiluccando da Wikipedia.
Ben altri erano tempi di Francesco Cossiga, espertissimo di Servizi come il suo maestro Aldo Moro, o di Ugo La Malfa, o di Bettino Craxi.

E non facciamo qui, per carità di Patria, riferimento alle miserabili occasioni nelle quali si è scaricato sui Servizi qualche errore madornale altrui di politica estera, creando o facendo creare il mito sciocco dei “Servizi deviati”, o della fanfaluca della Strategia della tensione.
Che non è mai esistita così come è stata narrata, ma si componeva di tecniche, spesso piuttosto ingenue, di “contenimento” del potere in Italia di un Partito politico legato ad una Potenza straniera e avversaria.

In ogni caso, chi parlava di “Strategia della Tensione” tendeva a coprire, magari inconsapevolmente, le azioni di Tensione che partivano dall’Estero.
E dentro quella sedicente “strategia” si inserirono, quasi immediatamente, forze estranee al Nostro Paese, che la diressero ai loro fini, mentre la gran parte dei politici, ma non certo Francesco Cossiga, non sapevano che pesci prendere o cavalcavano la vulgata gauchiste.

Per non parlare nemmeno della vera fesseria delle “Stragi di Stato”, come se un Servizio potesse nemmeno immaginare di produrne, e che servivano a coprire ben altri Servizi, il tutto utilizzando uomini politici di ogni estrazione, che capivano di Intelligence quanto di filologia ugro-finnica.
Chi ha sparlato di “strategia della tensione” erano dei politici che stavano vendendo la loro Intelligence per fare accordi con quel medesimo partito-area internazionale.

Pensate che, poi, si arrivò nella “Prima Repubblica” a dividere per “correnti” anche il Servizio, con i risultati che si possono facilmente immaginare.
Si deve quindi ricominciare quasi da zero, per ricostruire l’immagine e l’organizzazione dell’Intelligence italiana.
Cossiga, lui sì che aveva le idee chiare sui Servizi, di cui conosceva ogni più intimo meccanismo.
Cossiga era un difensore dello Stato, in prima battuta. Mi ricordo delle sue fulminanti battute su questo o quel politico, valutati quasi solamente per come sapevano o, più spesso, non sapevano utilizzare o comprendere l’operato dei Servizi.

Anche se, talvolta, aveva disprezzo per alcuni dirigenti della nostra Intelligence, che spesso non riteneva all’altezza della politica estera che l’Italia avrebbe potuto fare, se avesse avuto dei leader politici all’altezza, e Dio solo sa quanto questa valutazione non sia oggi di attualità.
Alcune battute di Francesco sono ancora oggi irripetibili, ma certamente la capacità di utilizzare l’Intelligence era la vera misura, per Cossiga, del passaggio da “politico” a Statista.
Cossiga era poi molto amato da colui che è stato il vero capo “vicario” dell’Intelligence italiana, mentre i Servizi militari erano in crisi per le cose che abbiamo detto finora, erano fortemente indeboliti.

Parlo di Federico Umberto d’Amato, il fondatore e capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, fulcro dei rapporti con gli USA e con molte Potenze amiche (e con qualche Paese nemico).
“Umbertone”, come lo chiamavano gli amici, diceva che Francesco Cossiga era il “Ministro ideale” per tutti i veri uomini d’intelligence.
Ma l’uomo in cui Francesco ripose la massima fiducia e stima, come capo del SISMI, fu l’ammiraglio Fulvio Martini, probabilmente il più aggressivo e sapiente capo dell’Intelligence italiana del dopoguerra.

Fulvio fu l’ideale capo del SISMI per Francesco: aveva iniziato nel SIOS d’Arma, la sua Marina, controllando le navi sovietiche sul Bosforo, fotografando un pezzo di missile che servì poi ai nostri amici americani per chiarire le trattative sulla questione di Cuba e dei missili sovietici colà appostati.
Fu il gestore intelligente e accortissimo, e qui come sempre è l’uomo-intelligence il vero diplomatico, della questione dell’Achille Lauro con i terroristi palestinesi a bordo, quando Bettino Craxi ordinò l’unico momento di autonomia nazionale da molti anni a quella parte.

Pochi sanno, però, che fu il rapporto amichevole e particolarissimo di Fulvio con i Servizi israeliani che permise all’Amm. Martini alcune straordinarie operazioni nel Maghreb e anche ben oltre: mi riferisco per esempio alla splendida capacità che ebbe Fulvio, nel momento in cui la Tunisia era in crisi politica estrema, di “bruciare” i Francesi, ai quali peraltro aveva offerto lealmente collaborazione, e di porre al potere, nella notte concitata e terribile in cui al Palazzo di Cartagine misero fuori gioco Habib Bourghiba, il “nostro” Zine El Abidine Ben Alì, che almeno prometteva di proteggere un nostro essenziale interesse nazionale: il gasdotto che arrivava sulle coste tunisine partendo dalla Libia meridionale, e che un altro grande politico con l’intelligenza dell’Intelligence, Franco Reviglio, aveva posto all’attenzione del Governo di allora.

Il Caso “Gladio” lo vide mesto esecutore, una offa all’opposizione di allora, da parte di un sette volte Primo Ministro, per ingraziarsi quei voti. L’unico Paese che ha smantellato la sua Stay Behind in tutta l’area NATO siamo noi, medaglia di latta al merito dell’Intelligence, non c’è che dire.
Tralasciamo il fatto che “pezzi” della struttura Gladio erano usciti dallo stesso ufficio di Guerra Non-Ortodossa della NATO, con un ufficiale USA che si era fatto irretire da una bella bionda dei Servizi dell’Est, e solo dopo un po’ di giorni la cosa era stata scoperta dal CS interno.

Tralasciamo anche il fatto che qualche documento della Rete avrebbe potuto, con una trattativa specifica, di cui Francesco conosceva ogni aspetto, uscire da Forte Braschi per essere messo in mano dei “danti causa” delle Brigate Rosse. Ma non avvenne nulla di tutto ciò, naturalmente.
L’idea comunque della straordinaria defamation ordita contro GLADIO, che era già stata direzionata verso una intelligence sottile del Territorio, con le tecniche più raffinate, nel Meridione d’Italia (e questo spiega molte cose) fece molto male a Cossiga, che riteneva Stay Behind (e qui Fulvio Martini acconsentiva) uno degli assi della Difesa nazionale.

Ma il militare, lo diceva anche Von Clausewitz, deve obbedire al Sovrano politico, e così fu, con particolare amarezza per Fulvio e una furibonda incazzatura per Francesco Cossiga.
Allora: senza intelligence non solo non vi è la Sicurezza dello Stato, ma nemmeno lo Stato stesso. Ricordiamocelo, con questi brutti chiari di luna in Politica, mentre tutto il Sistema-Italia sta per essere, ma in molti casi ciò è già silenziosamente avvenuto, del tutto declassato a quello che risulta di un Paese che perde una Guerra. Abbiamo perso la Guerra della Globalizzazione, la guerra non-ortodossa scoppiata dopo il 1989 e il suo famoso Muro di Berlino che cadeva. Se avessimo avuto una classe politica in grado di leggere i segni che l’intelligence forniva, giorno dopo giorno, questo non sarebbe successo.
A Francesco Cossiga, ne sono sicuro, questa sconfitta non sarebbe capitata.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”

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