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Politica senza Paese. E Draghi al Quirinale?

Mentre ci avviciniamo ormai alla ripresa a tempo pieno delle attività economiche e politiche, la situazione italiana versa in condizioni via via sempre peggiori.
Il ministro Padoan e il commissario Cottarelli s’incontrano per valutare l’entità della revisione di spesa che dovrebbe permettere tagli e risparmi. Ma, come ormai si è capito, operazioni di questo genere non incontrano soltanto le difficoltà normali, ma trovano resistenze eccezionali legate alla crisi economica gravissima.

Cgil e Fiom sono pronti agli scioperi blocca tutto per il mese di ottobre, i Comuni si preparano a rendere pubblica la stangata immobiliare della Tasi, mentre Morgan Stanley rivede al ribasso le previsioni sull’andamento del Pil italiano, portandole a meno 0,2% nel 2014.
Insomma un disastro completo.

Certamente, le responsabilità del Governo non possono essere esagerate. Anche perché è facile rendersi conto che i mali sono profondi e radicati negli italiani, non espressione solo di un andamento congiunturale contingente e non imputabili unicamente a pochi mesi di potere. Tuttavia alcune scelte precise paiono, in questo quadro, veramente poco felici.

Torna la questione degli 80 euro, la cui opzione demagogica, per altro così denunciata da molte parti fin dall’inizio, è stata soluzione poco opportuna in relazione specialmente al blocco degli scatti stipendiali che riguarda da anni tanti lavoratori.

Forse le risorse sottratte con la destinazione in busta paga degli aumenti lineari sarebbero servite a permettere a professori e ricercatori meritevoli, oltre naturalmente a poliziotti e carabinieri, di avere quegli adeguamenti salariali che altre categorie hanno avuto, vedi i Magistrati, necessari per non far finire tante famiglie nel mattatoio della povertà.

Il fatto vero è che il Governo Renzi opera ormai in solitudine, senza essere incalzato dall’opposizione, la quale con il patto del Nazareno sembra assecondare l’esecutivo piuttosto che pungolarlo. Probabilmente le condizioni per la presenza di una valida alternativa al centrosinistra vi saranno non prima della fine della legislatura, e dunque non c’è da aspettarsi cambiamenti di rotta che non siano voluti dalla stessa maggioranza.

Il punto dolente è uno. Il male antico dell’Italia non solo non è stato curato, ma si è aggravato. Gli interessi individuali continuano ad avere il sopravvento sul bene comune, le lobbie piccole e grandi, nonché le ambizioni dei singoli, sono diventate l’unico fine vero di ogni scelta e di ogni nomina, dipendente sempre più da pressioni estranee al nostro Paese. Un po’ come dire che su un terreno che frana ognuno si aggrappa come può al ramo che trova, senza badare alla pianta.
Quello che servirebbe all’Italia non è cambiare verso, ma prendere il verso giusto. Finché saremo una società senza comunità, ci troveremo continuamente nella stessa situazione. E il tutto sarà sacrificato all’interesse delle parti.

In una fase storica come l’attuale, all’opposto, si salvano solo gli Stati che hanno popoli coesi che fanno prevalere il bene generale sugli interessi individuali. Il recupero di un senso sociale di questo tipo è un fattore culturale, d’altronde, impossibile da creare a tavolino, specialmente in una nazione costituita da una mentalità feudale e particolaristica millenaria, dominata da settarismi e piccole ambizioni personali.

L’unica identità comune vera italiana, quella cristiana, è stata pian piano erosa dalla secolarizzazione, e da noi la democrazia è brutale contrattazione, non manifestazione di finalità che leghino insieme nel tempo più generazioni.

La ricetta, nonostante la giusta diagnosi, resta chiara. Una buona politica dovrebbe saper discernere quanto può valere per tutti, per l’intera società, rispetto a quanto invece soddisfa soltanto alcune corporazioni ben note. E davanti a un Paese economicamente allo sbando, ormai conquistato, per quel che rimane, da multinazionali estere, la politica dovrebbe difendere strenuamente la società che rappresenta nel suo complesso, nei modi e con le strategie opportune.

Qui sta il vero fallimento di questi mesi. Qui sta il nostro continuo impoverirci. Avere un consenso è una cosa, farlo diventare mezzo per il bene di tutti un’altra. E da questo punto di vista non vi è stata con Renzi alcuna discontinuità, ma solo il perpetrarsi del ricorrente avvicendamento al potere di personaggi, vecchi e nuovi, che sbattono però contro il muro di una mentalità e di una bramosia di potere che vince ogni buona intenzione.

Del resto, il recupero di un’etica sociale, in un Paese come il nostro, deve partire dalle comunità locali, le quali sono proprio le prime che vivono di piccoli ricatti, micro corruzione, ricette insulse e sperperi inutili. E, probabilmente per questo, non si può fare a meno di attendere che Bruxelles detti la linea, a prescindere da chi risiede a Palazzo Chigi. O sperare che la BCE sieda direttamente al Quirinale.

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