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Province, stranezze e appuntamenti alle urne

Il prossimo 12 ottobre 64 province apriranno le urne e completeranno il percorso per scegliere la quota parte dei 986 seggi posti in palio nel Paese. Lo faranno senza che i candidati a presidente sappiano cosa fare, su quali risorse contare, quali compiti svolgere e quali funzioni fondamentali esercitare. Sul piano politico, si registrano schieramenti soprattutto formati da pezzi dei partiti, spesso contrapposti tra loro e di frequente a composizione mista. Insomma, confronti personali che sottacciono interessi che nulla hanno a che fare con la buona politica.

Si sono registrate (e si registreranno ancora) guerre fideiste, ove a contare non è stata la ragione (pubblica) bensì il modo di rappresentare la propria “religione”, sempre improntata a mettere in campo gli eserciti per misurarsi (poi) politicamente ovvero per negoziare nei partiti le vis emerse dai confronti interni. In due regioni sono diversi gli appuntamenti in campo, non ultimo quello di scegliere il candidato del Pd a presidente della regione.

A tal fine, in Calabria pare che si stia facendo ricorso ad accordi trasversali, del tipo tu mi dai i voti alle primarie (il 5 ottobre) e io ti restituisco, poi, il piacere eleggendoti presidente della provincia (la settimana successiva). Un successo perseguito: da taluno, per sconfiggere l’avversario di partito; da qualcun altro, per portare a casa il ticket utile a candidarsi alle prossime elezioni politiche. Del resto, tale genere di accordo è già stato ben sperimentato con successo nelle trascorse elezioni comunali, ove le sorprese sono venute fuori ricorrendo ad una siffatta tipologia contrattuale.

Dunque, ovunque nessun comizio, nessun manifesto e nessuna iniziativa pubblica ma tante trattative, più o meno palesi. Numerosi gli accordi trasversali, affrontati e conclusi su più tavoli territoriali nei confronti dei quali, dopo, rivendicare ciò che è utile. Tutto questo senza sapere nulla di ciò che si andrà ad amministrare e di come lo si potrà fare. Si sa solo che nessuno percepirà gettoni e indennità. Una sorta di propagandata gratuità che, tuttavia, dovrà fare i conti con i costi di ordinario funzionamento burocratico dell’ente. Un costo del quale, per il momento, non si conosce né l’entità e né la contropartita, ovverosia a fronte di cosa si dovrà spendere.

Mancano, infatti, i fondi e la loro determinazione. Tant’è che è oramai prossima (come al solito, un po’ tardiva) una sessione straordinaria della Conferenza Unificata per fare luce sulla definizione delle risorse utili al loro normale esercizio istituzionale. Il tutto, a fronte di aspettative della politica locale di gestire bilanci sovracomunali attraverso i quali trarre consenso da spendere, poi, altrove.

La stranezza della vicenda, tutta italiana, di abrogare part time un ente inutile, quale era la vecchia provincia, ha prodotto la ricostituzione di 64 diffuse imitazioni delle Città metropolitane (10 in tutto, della quali solo 8 ai nastri di partenza, Reggio Calabria ovviamente esclusa), cui la Costituzione riconosce un protagonismo e un ruolo istituzionale. Un ruolo, questo, vuoto a tutt’oggi dei necessari contenuti operativi. Si è parlato tanto e a vanvera di costituire, attraverso la novellata provincia, la filiera delle cosiddette aree vaste, utili a coordinare l’utilizzo delle risorse e i servizi relativi. Ciò senza determinare i segni identificativi del nuovo ente indispensabile per definire la sua carta di identità da proporre ai cittadini che sono all’oscuro di tutto

Al riguardo, latitano i cambiamenti pretesi dal legislatore (ancorché appena accennati nella norma) e, con essi, la distribuzione delle competenze e delle funzioni, esercitate dalle vecchie province, da attribuire ai nuovi enti e a quelli che rimangono e che compongono il residuale sistema autonomistico territoriale (regioni e comuni). Non sono state definite le attività sul piano contenutistico e il destino del personale già in esercizio. Si tace sulle risorse, allo stato neppure budgettate, e si trascura il grave problema dei debiti pregressi, così come pure – per quelle province che via hanno aderito (per esempio Chieti)– i comportamenti da tenersi in relazione ai piani di riequilibrio finanziario pluriennali approvati.

Insomma, si corre il rischio di avere il 13 ottobre un esercito di enti, con tanti generali al seguito, che creerà problemi di convivenza interistituzionale senza che sia utile a risolvere alcunché.

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