Si può vincere la sfida del cambiamento climatico traendone anche un buon vantaggio economico? Era questa la domanda per rispondere alla quale è stata creata la Global Commission on the Economy and Climate, una commissione intergovernativa il cui advisory board economico è presieduto da Lord Nicholas Stern, economista britannico famoso per i suoi lavori sulla quantificazione economica dei danni causati dal global warming. Dopo mesi di lavoro la risposta è arrivata, sintetizzata in un report (allegato in basso). Ed è positiva: con la giusta strategia benessere economico e lotta all’effetto serra possono andare di pari passo.
In sintesi, il documento spiega che le tecnologie per rivoluzionare il sistema energetico con le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica ci sono già e sono sempre più competitive. E mostra come sia i paesi in via di sviluppo che quelli ricchi abbiano la possibilità di coniugare crescita economica e riduzione consistente delle emissioni. Tutto dipende dalla volontà politica. Ad esempio – si raccomanda – bisognaspostare i sussidi dalle fonti fossili, cui vanno circa 600 miliardi di dollari l’anno di aiuti, alle fonti pulite che ricevono un sesto di quella cifra.
Decisivi saranno i prossimi 15 anni in cui si investiranno circa 90mila miliardi di dollari in infrastrutture. In uno scenario business as usual andremmo verso un disastroso aumento della temperatura del pianeta oltre ai 4°C rispetto ai livelli preindustriali. Se queste infrastrutture verranno pensate in un’ottica low-carbon, invece, possiamo riuscire a stare sotto alla soglia che riteniamo di sicurezza, quella dei 2°C. La notizia del report è che la rivoluzione necessaria si può fare traendone anche un vantaggio economico.
Lo dicono le stime fatte dagli economisti. Continuando con infrastrutture ad alte emissioni dovremmo investire circa 6mila miliardi di dollari all’anno; scegliendo di tagliare i gas serra l’investimento annuale in infrastrutture sarebbe di 6.270 miliardi l’anno (vedi grafico sotto).
Ma quei 270 miliardi annuali di differenza verrebbero ripagati dai minori costi operativi, ad esempio dal ridotto fabbisogno di combustibili fossili. Il resto sarebbe guadagno, per altro difficile da quantificare, dato che le ricadute positive riguarderebbero diversi ambiti, dall’occupazione, ai minori danni ambientali fino al risparmio sui costi sanitari. Ad esempio attualmente, si ricorda, nei 15 paesi con le emissioni di gas serra più alte, l’inquinamento atmosferico dovuto in larga parte all’uso di combustibili fossili crea danni sanitari che in media arrivano al 4% del Pil (vedi grafico sotto).
Diversi gli ambiti in cui bisogna agire e che il report esamina. Oltre a quello dell’energia, c’è la questione della pianificazione delle città, che pesano per il 70% dei consumi e delle emissioni. Nei prossimi anni 15 la popolazione mondiale residente nei centri urbani dovrebbe aumentare di un miliardo di persone: se le città cresceranno in maniera sostenibile e ragionata in 15 anni si risparmieranno 3mila miliardi di dollari in infrastrutture.
Cruciale sarà anche l’approccio all’agricoltura che nel 2030 dovrà nutrire 8 miliardi di umani: se un ottavo dei terreni agricoli degradati fosse recuperato con le moderne tecniche di coltivazione si potrebbero nutrire 200 milioni di persone, riducendo nel contempo le emissioni di gas serra.
E i soldi per gli investimenti aggiuntivi necessari a rendere più sostenibile la nostra economia? Serve il sostegno pubblico, osservano gli autori del report, ma si può contare anche su strumenti finanziari innovativi come i green bond e i costi dei capitali potrebbero essere tagliati nettamente – ad esempio nel settore energy di un quinto – anche se gli Stati si limitassero solo a condividere i rischi economici degli investimenti dei privati.
Leggi il report della Global Commission on the Economy and Climate