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Tutte le divisioni in Scelta Civica

Il limbo di Scelta civica sta per finire. L’appuntamento per il redde rationem del partito fondato da Mario Monti è fissato per il 20 settembre a Firenze. Dopo il ceffone ricevuto alle Europee, si è aperta una fase transitoria di riflessione affidata alla reggenza dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi. Staccare o meno la spina al soggetto politico nato meno di due anni fa? Questa la domanda che divide i montiani, con un’infinità di gradazioni diverse.

CHI RILANCIA
La maggioranza sembra orientata a rilanciare Scelta Civica nonostante insuccessi e divisioni: “Io resto convinto ci sia ancora uno spazio autonomo e originale per noi”, spiega a Formiche.net il deputato piemontese Mariano Rabino – già nella montezemoliana Italia Futura – che però ammette seri problemi di carattere organizzativo e di leadership da affrontare per andare avanti.

CHI LASCIA
C’è invece una minoranza che pensa a Sc come a un’esperienza finita: “Sono gli elettori ad aver decretato la sua scomparsa”, è il ragionamento che viene fatto.

Il primo a dirlo è del resto il suo fondatore Mario Monti, completamente defilato rispetto alle sorti del partito. L’ex premier oggi ad Agorà ha rivendicato l’azione del suo governo rispetto a quello renziano, “io ho fatto riforme, non slide”, e ha confessato di essersi candidato “contro natura, per terrore di vedere l’Italia governata da un centrodestra con Pdl, Lega e Fratelli d’Italia o da un centrosinistra dove fossero essenziali Sel ed altri, che in entrambi i casi sarebbe stata molto anti-europea e molto anti-disciplina sulla finanza pubblica”.

CHI GUARDA A DESTRA
Chiusa una porta, se ne apre un’altra. Ed ecco che i montiani si dividono anche sul riposizionamento. C’è chi guarda al centrodestra, “perché in Italia non può esserci solo il partito unico renziano”, e ha firmato l’appello per la Costituente popolare, il gruppo unico in Parlamento tra Ncd, Udc, Popolari per l’Italia e parte di Sc, appunto, che dovrebbe nascere a breve. Tra gli ex montiani pro centrodestra ci sono Andrea Causin, Salvatore Matarrese, Pierpaolo Vargiu e Paolo Vitelli che sono stati invitati domani alla riunione a porte chiuse convocata da Angelino Alfano e Lorenzo Cesa per trovare la linea comune all’intergruppo sull’economia.

CHI GUARDA A RENZI
Ci sono poi i montiani renziani. Anche in questo caso con diverse sfumature. C’è chi come Andrea Romano all’indomani del flop elettorale del 25 maggio ha aperto a una prospettiva strutturale nel centro-sinistra, lanciando una blairiana “grande tenda del riformismo che vada oltre i confini del Pd, dando all’Italia un soggetto politico in grado di accogliere tutte le culture e tutti i valori riformisti e liberaldemocratici di sinistra”.

CHI GUARDA AL GOVERNO (E FORSE A RENZI)
C’è poi il filone più autonomo ma comunque filo-governativo come quello rappresentato da Pietro Ichino, Enrico Zanetti e Carlo Calenda, impegnato in prima fila sulle riforme economiche. Calenda, viceministro allo Sviluppo economico, oggi ha difeso l’operato dell’esecutivo dalle critiche espresse proprio da Monti: “Non credo che, come ha affermato Monti, governare significhi scontentare. I cambiamenti profondi si ottengono coinvolgendo e persuadendo le persone che esiste una strada comune verso la crescita e lo sviluppo, e che questa strada può anche richiedere sacrifici. Questo è il compito alto della politica ed è anche il percorso intrapreso dal governo Renzi. Molte cose potevano essere fatte meglio, ma da questo punto di vista c’è stato un reale e profondo cambiamento di verso”.

Sul fronte dei montiani governativi, sembra perdere feeling con il presidente del Consiglio Stefania Giannini. Il ministro dell’Istruzione ed ex segretario di Sc appare sempre più in secondo piano sulla riforma della Scuola, di cui Renzi si vuole fare paladino come attesta tra l’altro la sua odierna enews.



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