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Così Usa ed Europa collaborano contro i foreign fighter. Parla l’ambasciatore Bradtke

Il jihadismo della porta accanto è un fenomeno in espansione. Sono sempre più i cittadini occidentali che ingrossano le fila dei gruppi terroristici come l’Isis, diventando strumento delle milizie in conflitti non convenzionali, come quelli siriano e iracheno. Come reagisce l’Occidente a questa minaccia? A spiegarlo in una conversazione con Formiche.net è l’ambasciatore Robert Bradtke (nella foto), senior advisor del Dipartimento di Stato americano per la collaborazione sui foreign fighters, oggi a Roma.

Ambasciatore, il mondo scopre oggi una nuova minaccia: i foreign fighters. Qual è la situazione e quanto deve preoccuparci?

È una minaccia seria, ma non è una novità per noi. Attualmente i foreign fighters attivi in Siria e Iraq vengono stimati in circa 15mila unità, di cui 2mila provenienti dall’Occidente e in larga parte dall’Europa. Quel che ci preoccupa è non solo la loro partenza verso questi teatri di guerra, ma che possano poi rientrare nei loro Paesi per compiervi attentati. Per questo stiamo promuovendo la collaborazione tra Stati per scambiare informazioni e prevenire il fenomeno, non solo combatterlo.

Come dimostrano le cifre che ha elencato, i jihadisti reclutano sempre più seguaci in Europa. La differenza di legislazione tra i vari Paesi dell’area Schengen costituisce un problema e aumenta questa minaccia nel Vecchio Continente? L’Alleanza Atlantica può costituire un “collante” per affrontare il fenomeno?

La Nato, anche nel summit in Galles, ha discusso del tema, ma non ha per il momento un programma dedicato ai jihadisti occidentali. La maggior parte dei foreign fighters provengono dall’Europa per diverse ragioni, tra cui la vicinanza geografica al Medio Oriente. Per questo è importante che i confini dell’area Schengen siano rafforzati e controllati nel modo più possibile accurato e che ci sia un coordinamento forte tra Paesi.

Qual è il ruolo dell’Italia nel contrasto al fenomeno?

L’Italia detiene al momento la presidenza del Consiglio dell’Unione europea ed è un partner importante per quanto concerne tutte le questioni di sicurezza nel Mediterraneo e non solo alla soluzione delle quali contribuisce attivamente nei modi che ho descritto. I foreign fighters in Italia sono relativamente pochi se comparati a quelli provenienti da altri Paesi come Regno Unito e Francia, il che è ovviamente un bene, ma non è detto che non costituiscano una minaccia.

I foreign fighters sono spesso giovani, a volte anche adolescenti. Quanto incidono Internet e in generale i social media in questo tipo di reclutamento? E come può intervenire l’Occidente preservando un valore come la libertà d’espressione?

I jihadisti usano molto bene le potenzialità offerte dagli strumenti tecnologici. Per questo è importante che Internet non venga lasciato nelle loro mani, ma che la loro azione venga contrastata in tutti i modi possibili. Il Dipartimento di Stato americano ha un’unità dedicata proprio a questo tipo di minaccia. Bisogna trovare un buon punto di equilibrio. Teniamo molto alla libertà d’espressione, in tutte le sue forme, ma ci sono dei casi in cui è lecito chiedere ai provider il rispetto delle condizioni d’uso di siti attraverso i quali questi messaggi vengono diffusi. Accade con la pornografia infantile, può accadere anche con i messaggi che incitano all’odio, alla violenza e alla jihad.

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