Un sussulto dopo anni di silenzi e imbarazzi. Atene ha emesso un severo avvertimento ad Ankara, che non solo mantiene a Cipro ancora 50mila militari turchi nonostante Cipro sia un Paese membro dell’Ue, ma tenta di influenzare le operazioni di sfruttamento di idrocarburi, su cui Nicosia ha già da tempo siglato un accordo con Tel Aviv, con la partecipazione tra gli altri anche di aziende italiane.
Il messaggio del governo greco è che o Ankara rispetterà il diritto internazionale in materia di diritti di Cipro su gas e di esplorazione di petrolio nella ZEE, oppure si assumerà le relative conseguenze sul versante dell’adesione all’UE.
Konstantinos Koutras, portavoce del ministero degli Esteri greco, ha detto che la Turchia deve rispettare i diritti sovrani che la Repubblica di Cipro ha sulla propria piattaforma continentale, come un paese membro delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. “Cipro non può tollerare ulteriori violazioni del diritto internazionale”, ha avvertito Koutras, aggiungendo che il comportamento della Turchia deciderà se il Paese potrà o meno aspirare ad un futuro europeo. Solo 48 ore fa il ministero degli Esteri turco ha invitato la comunità internazionale “ad agire per evitare i passi provocatori e unilaterali mossi dalla parte greco-cipriota”.
Ankara si riferisce alla Repubblica di Cipro definendola erroneamente ancora come “Amministrazione grecocipriota nel sud di Cipro” quando invece Cipro è uno Stato membro dell’Ue mentre la parte nord è occupata abusivamente dal 1974 e si è definita Repubblica turca nord cipriota autoproclamata, ma non riconosciuta dalla comunità internazionale.
Tra l’altro le pretese turche sul gas di Cipro cozzano con la giurisprudenza internazionale, dal momento che il Trattato di Montego Bay parla chiaro: lo sfruttamento delle risorse minerali ed in generale il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche del suolo sottomarino antistante alle proprie coste è regolato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nota anche come Convenzione di Montego Bay del 1982, dal nome della località giamaicana dove fu sottoscritta; è entrata in vigore nel 1994 ed è adottata da circa 200 paesi.
Regola l’estensione della sovranità territoriale degli Stati anche sulle acque marine antistanti alle loro coste, definendo contenuti e limiti di tale sovranità. Per cui la sovranità dello Stato si estende per 12 miglia ad una zona di mare adiacente alla sua costa, il cosiddetto mare territoriale, su cui lo Stato esercita le proprie prerogative.
La possibilità di sfruttamento in esclusiva di minerali, idrocarburi liquidi o gassosi, invece, si estende su tutta la propria piattaforme continentale, intesa come il naturale prolungamento della terra emersa sino a che essa si mantiene ad una profondità più o meno costante prima di sprofondare negli abissi. Per cui lo Stato costiero, e non associazioni etniche o raggruppamenti di persone o territori comunque definitisi, è il solo titolare del diritto di sfruttare tutte le risorse biologiche e minerali del suolo e del sottosuolo.