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Cattolici ed “espulsi dal mercato del lavoro”

Il periodo iniziale della legge sul cosiddetto Jobs Act così recita:
“Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori,
di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro….”
Le leggi nel loro incipit, implicitamente o esplicitamente, chiariscono le finalità delle stesse. Approfondire, quindi, con la presente  riflessione ciò che è affermato nella introduzione della legge delega sul Jobs Act mi sembra opportuno.
Non vi è alcun dubbio che la delega in questione guarda in primis alla condizione di disoccupato, e come questa dovrebbe essere attenuata dall’intervento dello Stato, non attraverso nuove forme di organico Welfare State, ma con interventi individuali occasionali, rapportati alla vita lavorativa dell’ interessato. Se il governo avesse voluto parlare di regole funzionali ad incentivare il lavoro, si sarebbe espresso con lessico conseguente. Continuando, nella delega si sostiene di: “razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale” ma non si fa cenno alla cancellazione della precedente legislazione a sostegno dei disoccupati, più vantaggiosa per i perdenti il lavoro. Andando avanti, si ha l’idea compiuta del governo, approvata a maggioranza dall’aula del Senato e che è il vero capolavoro: …..” di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro”, pensiero involuto ed espresso in termini abbastanza criptici quando si dice di “favorire il coinvolgimento attivo”, per cui si può intendere tutto e il suo contrario. La cosa però che turba in modo deciso, quasi ripugna, è sapere che  si avranno “espulsi dal mercato del lavoro”. Significa che il governo è consapevole che gli imprenditori, art. 18 o meno, avranno libertà di licenziare e che ci saranno, per sostenere le richieste della corporazione degli industriali, uomini e donne che verranno espulsi dalle fabbriche, come se fossero semplici e inutili oggetti obsoleti. Questa è la filosofia ispiratrice del Jobs Act,  si sa sin d’ora che ci saranno espulsi, estromessi, cacciati, radiati, allontanati dal mercato del lavoro. Cosa aberrante, visioni ciniche che vanno a sostegno solo del capitale, trascurando del tutto il lavoro. Si può dire ciò che si vuole: si, ma, perchè, ma non è così, la sostanza però è che il lavoro con questa legge perde la sua dignità e con esso le tante donne e i tanti uomini che quotidianamente escono di casa per partecipare ai processi produttivi del loro Paese, che attraverso il lavoro realizza crescita, sviluppo, benessere e dignità per i cittadini tutti. Un Parlamento che accetta supinamente nella quasi totalità dei suoi componenti simili scempi legislativi è senza coscienza civica e politica.
Dove sono i parlamentari cattolici, che accucciatisi tranquillamente nel loro seggio non parlano, non vedono, non sentono, non leggono soprattutto?  Neppure sanno che la storia del cattolicesimo politico parte proprio dalla difesa della dignità del lavoro, e avvia il suo percorso riferendosi al magistrale documento del 1891 di Papa Leone XIII,  che compreso il momento difficile che viveva l’operaio nelle fabbriche, guidate da sfrenati capitalisti, promulgò la magistrale enciclica Rerum Novarum. E allora, come si fa a votare una legge simile in Parlamento, sapendo che il lavoro perde la sua dignità e che chi lo esercita viene considerato alla stregua di una qualsiasi merce da supermercato, dimenticando che ogni lavoratore è un uomo nel senso di persona? Ogni deputato cattolico legga bene il primo paragrafo del jobs act e valuti se è una legge a favore degli lavoratori o degli imprenditori.



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