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Così Pechino sguinzaglia hacker contro aziende Usa. L’allarme dell’Fbi

Non sono più muri fisici, come quello di Berlino, le barriere simbolo della nuova “guerra fredda” che ha per protagonisti stavolta gli Usa e la Cina, bensì informatici, come i firewall.

E internet è la terra da conquistare nell’ennesimo capitolo delle tensioni cibernetiche tra Washington e Pechino. Stavolta a lanciare l’allarme è stato il Federal bureau of Investigation, secondo cui il governo cinese sosterrebbe gruppi di hacker con l’obiettivo di attaccare aziende Usa.

L’ALLARME DELL’FBI

Nell’avvertimento “flash” – ottenuto in esclusiva dall’agenzia Reuters – l’Fbi ha illustrato le modalità con cui questi attacchi informatici sarebbero stati condotti e ha chiesto alle aziende di contattare le autorità federali se sospettassero di esserne vittime.

Nel documento, si legge che l’Fbi avrebbe ottenuto di recente informazioni su “un gruppo di hacker affiliato al governo cinese che di routine ruba informazioni di alto valore da network commerciali e governativi americani attraverso lo spionaggio cibernetico“.

A testimoniare la veridicità del materiale è stato lo stesso portavoce dell’agenzia, Josh Campbell, che ha confermato via mail che il file aveva come scopo quello di aiutare le imprese americane colpite o preoccupate da attacchi. “L’Fbi ha recentemente osservato intrusioni online che noi attribuiamo a persone affiliate al governo cinese”, ha rimarcato il funzionario, “aziende private di sicurezza informatica hanno inoltre identificato simili intrusioni e hanno diffuso informazioni per difendersi dagli attacchi“. Per il momento nessuna replica ufficiale né del governo, né della diplomazia della Repubblica Popolare.

L’ESERCITO CIBERNETICO

A disposizione della Cina, spiega il Washington Post, ci sarebbe un vero e proprio “esercito” di hacker di stanza a Shangai, l’Unità 61398. Una divisione però meno agile di quella dei “cani sciolti” di cui si doterebbe Pechino e per i quali l’Fbi ha diramato il nuovo allarme.

I CAPITOLI PRECEDENTI

Già lo scorso maggio gli Usa accusarono Pechino di aver violato i sistemi informatici di cinque aziende americane – Alcoa, Allegheny Technologies, SolarWorld, US Steel e Westinghouse Electric – e del sindacato dei lavoratori dell’acciaio per rubare segreti industriali. Fu la prima volta che Washington addebitò un reato come questo a un governo straniero. Ad accendere ulteriormente il clima furono le rivelazioni della talpa Edward Snowden, che dal suo asilo politico in Russia replicò che gli Usa avevano già fatto la stessa cosa nei confronti di imprese cinesi. L’ipotesi paventata dall’ex contractor dell’Nsa fu usata dal portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, che respinse le accuse come “assurde” e avvertì che l’atteggiamento americano avrebbe potuto mettere a repentaglio i rapporti diplomatici tra le due potenze.

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