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Così la mia Genova può tornare a risollevarsi dopo l’alluvione

Una terribile catastrofe come quella che ha investito la mia Genova non ha mai una causa sola: ci sono innanzi tutto fenomeni naturali. Senza arrendersi a un leopardiano pessimismo totale sulla natura nemica dell’uomo, non si può non essere coscienti che i disastri “avvengono” e che ciò vada considerato al di là dell’emotività del momento e del nostro profondo istinto a cercare sempre un capro espiatorio. Vi sono poi responsabilità storiche come quelle ben descritte da Carlo Stagnaro su Formiche.net. Vi sono infine “colpe” politiche come, nel caso genovese, i lavori non realizzati e la mancanza di un adeguato sistema di prevenzione.

E’ indispensabile quando però la catastrofe è avvenuta concentrarsi su quel che c’è da fare subito rinviando gli indispensabili “momenti della verità” a quando la situazione sarà tornata sotto un decente controllo. Anche i pm dovrebbero calcolare i tempi delle loro iniziative. E poi magari indagarsi di più anche fra loro per capire quanta responsabilità ha avuto la magistratura nel bloccare capziosamente certi procedimenti, nel rimuovere un prefetto efficiente e che non si piegava a oscuri patti di potere o nell’incrinare con indagini sul “tentato massaggio alla schiena” di Guido Bertolaso una struttura di protezione civile che pareva (vedi rifiuti in Campania) aver raggiunto un certo grado di efficienza.

Non ho alcuna simpatia per Claudio Burlando e neppure per un Marco Doria che ha vinto le primarie nel Pd sindaco contro Marta Vincenti da lui incolpata di comportamenti che poi lui stesso ha replicato.

Però adesso concentrarci sulle colpe sarebbe colpevole. Si decida che quando l’emergenza sarà finita si darà vita a una commissione d’inchiesta regionale in grado di fare “tutta la verità” e Doria resti al suo posto finché i nostri magnifici ragazzi spalano il fango dalle strade: dopo se fossi in lui mi dimetterei, ma questo riguarda appunto il “dopo”.

Oggi bisogna concentrarci su quel che c’è da fare.

La prima cosa è rimediare a quella rottura del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini che si è determinata. Senza fiducia è più difficile lavorare. Si definisca un accordo di programma tra stato, comune, regione, provincia e comuni dell’intorno interessati che istituisca un commissariato straordinario con un tecnico di sicura efficienza (per capirsi non un Burlando) coordinatore, un magistrato dotato di poteri “alla Cantone” per rapportarsi al sistema giudiziario (coperto da un governo pronto a fare decreti legge per attuare le scelte d’emergenza) e da un tecnico della Cassa depositi e prestiti in grado di analizzare il grande patrimonio pubblico genovese (comunale o regionale) come garanzia per rapidi interventi finanziari. Agli enti promotori dell’”accordo di programma” resterà il compito di sorvegliare “il comitato” e di implementarne le decisioni.

Si tratterà poi di ridare priorità agli interventi indispensabili su Genova, certi progetti stratosferici di cui non ho ben capito quali erano le risorse necessarie per realizzarli e dove trovarle, vanno subordinati all’esigenza prioritaria di domare il Bisagno. Magari facendo disegnare un perfetto scolmatore a Renzo Piano.

Infine la nostra città dovrà essere trattata con un occhio di riguardo. Per esempio la cessione della Selex di Finmeccanica alla Siemens che già mi sembrava una scelta già sbagliata, oggi – con i danni da alluvione – mi sembrerebbe scellerata.

Se posso sintetizzare la mia posizione direi: prima spalare il fango materiale, e solo dopo quello virtuale che copre la nostra politica cittadina e regionale.

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