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Ecco le 3 sfide degli anti Renzi

Si stanno moltiplicando iniziative ed avvenimenti a vario titoli definibili come potenzialmente politici.

Essi sembrano avere in comune una sola prospettiva politica: una alternativa a Renzi.

È di tutta evidenza che non basta in alcun modo assumere l’antirenzismo quale dimensione di per sé stessa sufficiente per costruire una proposta politica capace ad un tempo di aver l’ambizione di costruire una proposta di governo, e di saper conseguire – anche se in una prospettiva non troppo lontana – una quantità di suffragi sufficienti per governare.

Da questo punto di vista l’ormai imminente Legge di Stabilità – della quale Matteo Renzi ha fornito alcune importanti anticipazioni all’assemblea confindustriale di Bergamo – finirà con il rendere visibile e comprensibile questa questione di fondo.

Matteo Renzi infatti non è soltanto una sorta di presidente del Consiglio pro-tempore, ma sta pian piano diventando un esponente politico che tende a caratterizzare una intera stagione politica della vita italiana rispetto alla quale occorre sostanzialmente capire che l’alternativa deve a sua volta esprimere una capacità di governo del Paese per tempi lunghi e non solo per l’immediato.

Qualora infatti ci si rivolga al passato, prossimo, meno prossimo e perfino remoto, ci si imbatte in tre molto significative proposte di governo: quella di Silvio Berlusconi; quella di Mario Monti; e quella dell’antica stagione democristiana.

Nessuna di queste proposte appare oggi idonea a costituire una alternativa di governo a Renzi, o per ragioni di età, o per ragioni di contenuto, o per ragioni della perdurante “damnatio memoriae” democristiana.

Nella capacità di governo espressa infatti da Matteo Renzi si ritrovano in qualche modo mescolate sia una qualche prospettiva berlusconiana (soprattutto per quel che concerne il rapporto diretto tra leader e popolo); sia un significativo appello alla società civile (senza che sia peraltro affermata una sorta di contrapposizione tra questa e la leadership politica, come è stato nel caso di Mario Monti); sia un qualche apprezzamento per l’esperienza democristiana (vissuta peraltro non tanto in termini di costruzione di carriera politica, quanto in termini di significativa provenienza da un soggetto prevalentemente sociale quale è stata l’esperienza renziana dei boyscout).

Queste tre complessive dimensioni storico-culturali di Matteo Renzi sono state combinate con la costruzione di un vero e proprio nuovo partito quale appare oggi il Partito democratico, che non può più essere visto come una sorta di proiezione del vecchio Partito comunista.

Chi pertanto intende seriamente operare per la costruzione di una alternativa che non si limiti soltanto alla conquista di questo o quel frammento di soggettività politica locale o nazionale, deve evidentemente fare i conti proprio con tutte e tre queste dimensioni di Matteo Renzi, e collocarsi pertanto come alternativa al nuovo Partito democratico e non più al vecchio Partito comunista o alla vecchia Democrazia cristiana, e deve allo stesso tempo affrontare il nodo molto complesso del rapporto tra società civile e legittimazione popolare del governo politico del Paese.

In questo quadro assume un significato sempre crescente la prospettiva europea pur sempre all’interno di una attenta visione del nuovo ordine mondiale che si va progressivamente definendo.

Sono queste le due ragioni di fondo che rendono in qualche misura nuova la prospettiva stessa di un governo alternativo a Matteo Renzi, e che consentono di guardare al passato non in termini di una esclusiva ( anche se comprensibile) nostalgia, ma ad esso come una base necessaria per costruire un futuro di governo per l’Italia nel mondo contemporaneo.



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