La credibilità dell’ex sindaco di Firenze si gioca, dal suo insediamento, sulle capacità di dare seguito alle riforme. L’apertura di credito concessa dall’Europa non durerà ancora a lungo, come dimostra un lungo pezzo dell’Economist che già – per certi versi – scarica il primo ministro italiano Matteo Renzi. E lo fa sulla riforma del lavoro, usando parole dure e, come è d’uso per il settimanale britannico, intrise di sarcasmo per il nostro Paese.
APPARENZA VS SOSTANZA
“In Italia – scrive la testata anglosassone – l’apparenza è una cosa e la sostanza un’altra. Il provvedimento sul lavoro, passato in Senato, è molto lontano dalla Tatcherite (a cui fa appello la Camusso per osteggiarlo, ndr). Mira a dare ai nuovi dipendenti tutele crescenti, in potenza migliorando la condizione dei giovani che spesso lavorano solo su contratti a breve termine. Ma lascia inalterato l’articolo 18, una previsione emblematica del mercato del lavoro italiano che rende impossibile per le imprese con più di 15 dipendenti licenziare”. Certo, anche gli inglesi ammettono che sia presto per giudicare l’impatto del decreto, ma di certo si tratta della “prima vera riforma strutturale di Mr Renzi, che paga dazio ai falchi dell’austerità europea. Con l’Italia di nuovo in recessione e il Pil reale a valori inferiori rispetto al 2000, Mr Renzi tenta disperatamente di spuntare flessibilità sul deficit per sostenere la domanda”.
L’EUROPA PERDE FIDUCIA
Intanto l’Fmi ha ridotto la crescita 2014 a -0,2% da 0,3% e ciononostante “l’ottimista primo ministro si aspetta il Pil all’1% nel 2015. Mentre il debito pubblico, già al 135% del Pil, continua a crescere nonostante una politica fiscale relativamente rigida. La discussione sul decreto lavoro si è svolta molto rapidamente: il confronto tra governo, imprese e sindacati ha previsto una serie di interventi di un’ora ciascuno a partire dalle 8 del mattino per arrivare all’approvazione in Senato prima della riunione dell’Ue dell’8 ottobre a Milano, in cui Renzi, che presiede l’organismo fino a fine anno, sperava di trasformare l’approvazione della Camera alta in una sorta di fiducia da parte dell’Europa.
NUOVA SCADENZA PER LE RIFORME
“Il risultato è stata una sessione tumultuosa in Senato – continua l’Economist – almeno 26 senatori hanno firmato un documento in cui lamentavano la mancanza di dettagli nel decreto. Il Movimento 5 stelle ha anche obiettato la scelta del governo di dare poteri così ampi dell’attuazione del decreto… alla fine il decreto è passato con 165 voti a favore e 111 contro”. L’obiettivo dichiarato è di portare il deficit Pil entro la soglia del 3% e Renzi ha promesso che “tutte le riforme strutturali saranno approvate entro una nuova scadenza: il 2 aprile 2015. Dopo tutto, non sta fornendo alcuna garanzia di quello che Angela Merkel e i suoi falchi al seguito dovrebbero considerare senza alcun dubbio una buona condotta”. Come dire, finora solo belle parole e pochi fatti.
UN UOMO AMBIZIOSO
Ma “a Mr Renzi (“Preferisco l’arroganza alla mancanza di ambizione”) non è non è mai mancata fiducia in se stesso. “La mia ambizione per l’Italia – ha dichiarato – non è fare meglio della Grecia, ma meglio della Germania”. … Il debito pubblico italiano ammonta a circa 2.200 miliardi di euro. Solo l’azione del compatriota Mario Draghi, presidente della Bce, che fa “ogni cosa necessaria” per salvare l’euro è riuscita a contenere i costi dei prestiti del Paese. Così il Btp decennale questa settimana rendeva il 2,34%, meno degli omologhi britannici e degli States”.
… MA SENZA I NUMERI GIUSTI
Cosa accadrà ora in effetti? Secondo l’Economist bisogna vedere quanto a lungo gli investitori accetteranno interessi così bassi sul debito di un Paese il cui deficit non si contrae più. E Mr Renzi, in una rara manifestazione di preoccupazione, ammette di aver timore della deflazione, che è già visibile nelle statistiche di agosto. La deflazione aumenterebbe automaticamente l’ammontare del debito esistente e spingerebbe al rialzo il costo reale dei prestiti”. Un timore durato poco. “Se non cambio il Paese – ha detto il nostro, così come riporta l’Economist a conclusione del suo lungo discorso – cambio lavoro”.