C’è una svolta nella guerra all’Isis e ha per protagonista Ankara. La Turchia sta aiutando i peshmerga curdi a raggiungere Kobane dal Nord Irak per sostenere i guerriglieri curdo-siriani del Partito di unità democratica (Pyd), che resistono all’assedio dei jihadisti dello Stato islamico contro la cittadina curda nel nord della Siria da oltre un mese.
Fino ad ora il governo turco si era opposto alle molte richieste da parte della comunità internazionale e le autorità curde in Siria e Irak di aprire un corridoio di transito in territorio turco per far arrivare armi e rinforzi ai militanti curdo-siriani, ma le pressioni americane hanno spinto Ankara a cambiare posizione.
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Tuttavia l’unica cosa che a parer mio potrebbe consentire senza forze a terra il contenimento dell’ISIS e l’adozione di obiettivi che consentano l’intervento della Turchia. Ankara lo farà solo alle sue condizioni. Ne ha poste quattro: aree di sicurezza per i profughi e loro collegamento realizzando una fascia di sicurezza a Sud del confine turco; creazione di una no fly zone su tali aree e possibilmente sull’intera Siria; attacco a tutti i terroristi, incluso il PKK protagonista della difesa di Kobane; estensione dell’attacco della coalizione alle truppe di Assad, per realizzare un cambiamento di regime in Siria. Come? Erdogan non ha detto dove vuole andare a parare. Sa che l’unico attore che possa per evitare una guerra fra i circa 1.500 gruppi che – secondo un recente rapporto del Congressional Research Service – costituirebbero l’Esercito della Siria Libera, è l’esercito governativo siriano, che ha mantenuto una ragionevole efficienza, controlla un terzo del territorio e i due terzi della popolazione del paese e ha mantenuto una composizione pluri-etnica e pluti-confessionale.
LE PAROLE DI ERDOGAN
Pochi giorni fa il presidente turco ha dichiarato che la divisione dell’eredità ottomana fatta dagli accordi Sykes-Picot è stata un grave errore. La pace nella regione presuppone la loro modifica. Quale? Non l’ha detto. Chiaramente nelle sue parole suonavano accenti neo-ottomani. La soluzione ventilata da Erdogan è un anatema per Obama e ha suscitato timore negli arabi. Obama resisterà quindi al pur necessario mutamento di strategia. Forse attende il 24 novembre per vedere se i negoziati sul nucleare iraniano avranno esito favorevole. Allora, non è escluso che si rivolga all’Iran, anziché alla Turchia. Vedremo! Quello che è sicuro è che la strategia imposta da Obama non è compatibile con gli obiettivi dichiarati. Andrebbe mutata. Se gli USA vogliono determinare il futuro del Medio Oriente, non hanno alternativa a farlo e all’impiego di forze di combattimento terrestri in Medio Oriente, forse con il sostegno simbolico di qualche alleato europeo e arabo.