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La zona industriale di Bari non è un cimitero. Viaggio nel sud sviluppista/6

La zona industriale di Bari – il cui agglomerato esteso su 1.500 ettari, si colloca fra il capoluogo e il contiguo comune di Modugno – non è l’unica area della città in cui si localizzino piccole e medie industrie. Ve ne sono altre di dimensioni molto minori, che ospitano imprese piccole e medie, in prevalenza nel comparto agroalimentare, fra le quali spiccano però l’imponente stabilimento della Birra Peroni della multinazionale Sab Miller, gli impianti di torrefazione del caffè della Saicaf – ormai affermatasi da decenni nel suo settore – e quelli oleari della F.lli Rubino.

Il grande agglomerato prima ricordato è sorto invece nel 1960, con l’entrata in esercizio del Consorzio per l’Area di sviluppo industriale, tuttora operante, anche se la storia dell’industrializzazione a Bari è molto più antica e risale almeno all’ultimo ventennio dell’800, quando sull’asse viario prospiciente la ferrovia – che allora come oggi divideva la città – si collocavano molte piccole e medie imprese nei comparti dell’agroalimentare, della meccanica, della chimica e del tessile.

Ma se la storia cittadina può vantare un’apprezzabile tradizione manifatturiera e nomi di imprenditori che guardavano spesso oltre frontiera come sbocco dei loro prodotti, si avverte ora negli ambienti economici locali il bisogno di rifocalizzare meglio gli aspetti fondamentali della ‘nuova zona’ industriale del capoluogo, perché da qualche tempo certi osservatori, partendo dalle crisi di alcuni suoi stabilimenti e dai connessi e dolorosi risvolti occupazionali che le accompagnano, descrivono quella zona industriale come un vero e proprio deserto, assimilandola in tal modo alle altre aree della città ove è possibile ancora ritrovarvi qualche reperto di archeologia industriale, risalente proprio a quel primo Novecento che abbiamo primo evocato.

Nulla di più sbagliato, lo si sottolinea con chiarezza: chi parla di zona industriale alle soglie di una massiccia desertificazione, probabilmente non conosce l’argomento di cui parla. Perché? Per la semplice ragione che – nonostante i fenomeni di declino di alcune società e le dismissioni di specifici impianti che nessuno vuole ignorare o sottovalutare nella loro negatività – la ‘nuova’ zona industriale fra Bari e Modugno è tuttora una delle più dinamiche dell’intera dorsale adriatica, con più di 500 imprese manifatturiere insediate con quasi 17.000 occupati, oltre alle strutture commerciali: società fra le quali spiccano i siti di venti multinazionali italiane ed estere, dalla General Electric Oil&Gas Nuovo Pignone alla Bosch, dalla Getrag alla Magneti Marelli, dalla Bridgestone alla Skf, dalla OI-Owens Illinois alla Osram, dalla Transcom alla Oerlikon Graziano Trasmissioni, dalla Merck Serono alla Isotta Fraschini del gruppo Fincantieri, dalla Bari Fonderie Meridionali dei Cechi della DT alla tedesca Heintzmann.

E sono proprio tali grandi industrie che stanno ‘tirando’ in questa fase, recuperando consistenti volumi di commesse e alimentando apprezzabili flussi di esportazioni e ramificate attività indotte che danno occupazione ad alcune migliaia di addetti in Pmi di subfornitura. Molti degli impianti dei big player ricordati sono siti di eccellenza mondiale delle rispettive società, da cui partono beni finiti per tutto il mondo.

Proprio negli ultimi mesi, ad esempio, dallo stabilimento del Nuovo Pignone, facente parte della Divisione Oil&Gas della multinazionale statunitense General Electric sono partiti sei grandi macchinari per l’industria petrolifera del peso complessivo di 150 tonnellate e del valore di 15 milioni di dollari, imbarcati dal porto di Taranto e destinati ad un committente dell’Estremo Oriente. E ad agosto scorso altre grandi macchine per l’industria estrattiva, costruite sempre nel sito di Bari della GEOil& Gas, sono partite dall’aeroporto di Brindisi a bordo di un gigantesco Antonov 124 dirette a Mumbai in India.

Alla Tecnologie Diesel e sistemi frenanti del Gruppo Bosch – la maggiore fabbrica di Bari con i suoi 1985 occupati diretti, ai quali si aggiungono 249 addetti impiegati nel suo Centro ricerche – si produce il celeberrimo common rail ormai giunto alla terza generazione e se ne esportano quantità elevate in tutta Europa.

Alla Magneti Marelli del gruppo Fiat con i suoi 975 occupati si avvierà fra breve, dopo il completamento degli studi necessari, la produzione di motori elettrici per auto ibride: un investimento assistito da incentivi della Regione, tramite un contratto di programma presentato dalla società all’Ente.

La multinazionale tedesca Getrag – con 802 addetti fissi e 145 interinali – nel 2013 ha superato il già alto valore della produzione del 2012, ed ha raggiunto i 400 milioni di euro, con la costruzione di un nuovo e più avanzato sistema di cambi per auto: un volume di produzione molto elevato che si sta confermando anche per l’anno in corso.

Altro stabilimento di rilievo nell’automotive è la Skf che produce con 350 addetti diverse tipologie di cuscinetti a sfera.

Alle grandi aziende del comparto dell’automotive si affiancano poi molte Pmi di subfornitura fra le quali si segnalano la Masmec, la Supre, la Cmt, la Diamec, la Brovedani, la Unitrat, mentre un altro consistente nucleo di Pmi di subfornitura nella meccanica fine si addensa nella vicina area industriale di Molfetta a Nord di Bari, ove alcune imprese stanno sperimentando con successo una loro presenza sul mercato attraverso un contratto di rete denominato Nemo.

Fra le altre industrie meccaniche della zona industriale di Bari si segnalano la Faver operante nel comparto della meccanica pesante, la Thermocold, fra le aziende leader in Italia nel settore del condizionamento, la Indeco, divenuta una delle maggiori produttrici in Italia di martelloni demolitori e altri macchinari per lo scavo; ma anche molte altre piccole e medie imprese meccaniche stanno recuperando apprezzabili volumi di produzione, rafforzando le posizioni sul mercato italiano e in alcuni casi anche su quelli esteri.

Anche il comparto chimico è presente, con varie branche nell’agglomerato oggetto del nostro esame. La nipponica Bridgestone – che il 4 marzo del 2013 aveva annunciato la chiusura ‘irrevocabile’ del suo grande impianto di Bari in esercizio dal 1963, sia pure con altri azionisti – dopo la mobilitazione di maestranze, Istituzioni locali e Governo, ha rivisto il suo proposito e, sia pure con una pesante ristrutturazione dell’organico peraltro concordata con i Sindacati e grazie al ricorso ad ammortizzatori sociali e a forme di mobilità incentivata, ha salvato il sito con 750 addetti ove sono prodotti pneumatici general use. La multinazionale farmaceutica Merck Serono, a sua volta, supera ormai 1 miliardo di euro di esportazioni all’anno e totalizza oltre un terzo dell’intero export della provincia di Bari.

Altre industrie chimiche sono la Chimica d’Agostino – che produce solventi e detergenti, impegnata in una progressiva penetrazione sui mercati balcanici – e la Vitalvernici che produce coloranti e materiali per l’edilizia.

Ben presenti nella zona anche industrie nel settore della stampa, come ad esempio l’imponente stabilimento della Sedit, da dove escono le edizioni pugliesi del Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport e i volumi della Casa editrice Laterza.

Per ragioni di spazio abbiamo citato solo le aziende più note, ma il tessuto manifatturiero del capoluogo è molto più ricco e ha dimostrato un’apprezzabile capacità di resistenza alla dura recessione che ha colpito il nostro Paese in questi ultimi anni.

E’ dunque un gravissimo errore di rappresentazione quello di chi descrive la zona industriale di Bari e del suo hinterland come un ormai prossimo cimitero del manifatturiero locale. Nulla è più lontano dalla realtà.

Federico Pirro
Università di Bari, Centro Studi Confindustria Puglia


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