La Federal Reserve degli Usa (Fed) ha da poco annunciato che metterà fine al terzo round di acquisti di obbligazioni, cioè fermerà o ridurrà significativamente il programma di Quantitative Easing (QE). È già la seconda volta che la Fed annuncia una tale decisione. Il trimestre scorso ha dovuto addolcire le sue intenzioni, mentre questa volta sembra che “poiché l’economia americana e quella internazionale hanno ripreso a crescere” potrebbe veramente avvenire. Vedremo se sarà così nei prossimi giorni.
Tuttavia, è chiaro che dagli Usa arrivano segnali di cambiamento di rotta della politica monetaria americana che, di riflesso, avrà conseguenze anche su quella europea. Se queste scelte saranno confermate, il primo effetto si avrà sull’obbligazionario sovrano europeo che rischia di trovare ancor più difficoltà per trovare capitali freschi necessari a rifinanziare il debito. I capitali, come si sa, preferiscono spostarsi nelle aree dove il rendimento è più alto, e il mercato azionario americano sembra promettere tale obiettivo. Intanto, nell’eurozona i debiti pubblici dei paesi periferici continuano a crescere anche grazie alla “rottamazione” del Fiscal Compact che inconsapevolmente l’Italia e la Francia hanno annunciato nell’ultimo Consiglio europeo. La Bce per ora non ha ancora un mandato per iniettare ulteriore moneta nel circuito delle obbligazioni sovrane i cui tassi dovranno salire riportando in alto anche lo spread con la Germania.
In questo scenario, la situazione per Frau Merkel si farà piuttosto difficile perché da un lato dovrà far ricominciare le pressioni dei tecnocrati europei sui paesi periferici perché rientrino nei parametri e negli obiettivi, ma dall’altro dovrà rispondere alla crescente sponda finanziaria e industriale tedesca che vorrebbe uscire dall’attuale sistema e costruire una sua zona omogenea marco-euro. Insomma una tensione che rischia di riflettersi a livello politico nel prossimo Consiglio europeo di Dicembre.
Confrontati con questo scenario, i capi di stato e di governo hanno tre alternative reali da discutere: primo, Berlino si crea un’unione monetaria per sé; secondo, i capi di governo dell’Eurozona si decidono a passare davvero a un sistema federale (con condivisione di debiti, investimenti e politica monetaria meno rigida); terzo scenario, si continua con il solito tran tran e un misto di stagnazione e deflazione sarebbe allora assicurato.
Nessuna delle scelte è possibile senza delle conseguenze politiche significative.
Se la decisione della Fed sarà effettivamente attuata, si aprirà il doloroso capitolo della “questione tedesca” in Europa. In ogni caso, l’impianto esistente dell’Unione europea ne uscirà profondamente ammaccato.
La questione preoccupa non poco la politica americana che cerca di tenere insieme l’Ue, possibilmente facendola confluire nel Ttip, agitando gli spettri del nemico esterno. Russo o islamico, il nemico esterno sembra essere l’ultima spiaggia per evitare lo sfaldamento caotico dell’Ue.