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Eni, Enel e Finmeccanica fuori da Confindustria? Ecco tutti gli effetti della trovata renziana

Corre voce che Pier Matteo Renzi Tambroni stia cercando di convincere le grandi aziende partecipate ad uscire dalla Confindustria. Il progetto sarebbe il primo passo per estendere il modello contrattuale inaugurato in Italia dalla Fiat (ora Fca): in pratica il superamento dei vincoli del contratto nazionale di categoria per negoziare, a livello dei gruppi o degli stabilimenti, trattamenti economici e normativi più adeguati alle esigenze di competitività di queste imprese (Eni, Finmeccanica, ecc.) che operano sul mercato globale.

L’uscita dalla Confindustria, per le aziende allora a partecipazione statale (PPSS), ha un precedente storico illustre: nel 1958 venne addirittura imposta per legge. Vennero costituite due associazioni sindacali, l’Intersind per le aziende IRI e l’Asap per quelle petrolchimiche dell’Eni. La ‘’separazione’’ doveva servire a creare relazioni sindacali più aperte tra le aziende di mano pubblica e le organizzazioni sindacali. Per decenni, nei settori di appartenenza, venivano stipulati due differenti contratti nazionali: uno nei settori privati aderenti alla Confindustria, l’altro con l’Intersind o l’Asap. Negli anni ’90 con lo smantellamento del sistema delle PPSS (le aziende furono sollecitate ad iscriversi alla Confindustria) anche l’Intersind e l’Asap chiusero bottega.

Come negli anni ’60 le PPSS contribuirono a rinnovare le relazioni industriali e a promuovere la contrattazione articolata sulla base di clausole di rinvio previste nei contratti nazionali, così anche oggi, fuori dall’organizzazione di viale dell’Astronomia che è ormai diventata una succursale della Cgil, sarebbe loro assegnata una funzione altrettanto innovativa, magari in una diversa direzione.

C’è poi un importante risvolto economico. Le aziende ex PPSS oggi contano moltissimo in Confindustria perché sono le ultime grandi imprese associate e, come tali, versano fior di contributi, che verrebbero a mancare.

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Non è peregrina l’idea di ‘’affamare la belva’’. Renzi potrebbe dire: ‘’I dirigenti della Cgil mi accusano di fare le politiche della Lady di ferro? Bene. Io li accontento. Come fece Margaret Thatcher io li colpisco nelle tasche’’. Basterebbe molto poco per determinare un vero e proprio shock finanziario nei bilanci confederali: una direttiva del Ministro del Lavoro con la quale si vieta all’Inps di accettare deleghe permanenti (ovviamente salvo disdetta individuale) per la riscossione delle quote sindacali o associative sulle pensioni e le altre prestazioni sociali.

Dopo un certo numero di anni, per poter essere ancora valide, le deleghe dovrebbero essere rinnovate. Ciò metterebbe in grande difficoltà i sindacati dei pensionati che ormai sono i maggiori finanziatori delle confederazioni di appartenenza. Adesso molti ex lavoratori, aderenti a questi sindacati, vengono intercettati dai Patronati nel momento in cui presentano la domanda di pensione. Accettano di sottoscrivere la delega, poi magari non fanno vita sindacale attiva ma continuano a pagare il loro contributo. Se dopo un certo numero di anni la delega sottoscritta arrivasse a scadenza, nessun sindacato dei pensionai avrebbe la forza organizzativa per avvicinare tutti gli ex iscritti e ritesserarli di nuovo. Non vi è nessuna legge che impone all’Inps di prestare il servizio di riscossione ai sindacati. Sono consentite solo delle convenzioni di diritto privato. Del resto, una campagna mediatica impostata sul ‘’no alla delega sindacale perpetua’’ sarebbe bene accolta da un’opinione pubblica ormai avvezza a nutrirsi di carne e di sangue.

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Benché in tanti la sconsigliassero, il premier-ragazzino ha voluto inserire nella legge di stabilità l’operazione ‘’tfr in busta paga’’. Per dare un giudizio compiuto e misurare l’entità dei danni prodotti occorrerà capire come sono stati affrontati e risolti alcuni dei tanti problemi che si ponevano (un solo esempio: che cosa succede del tfr non allocato nelle forme di previdenza complementare che le aziende con 50 e più dipendenti sono tenute, ora, a versare nel Fondo Tesoro?).

Gli italiani, comunque, devono essere consapevoli che nella previdenza come nella vita ‘’nessun pasto è gratis’’: alla maggiore disponibilità di reddito attuale – per quanti sceglieranno di intascare il tfr – corrisponderà un tenore di vita più modesto da anziani. Sarà come la storia dei passeggeri di una mongolfiera bucata. Hanno la sensazione di andare più veloci, invece stanno precipitando.

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