Il premier cinese è in Italia per dare anche seguito all’ingresso di State Grid of China in Cdp Reti con il 35%. Per ragionare sui grandi flussi di commercio sull’asse euro-asiatico ecco l’opinione dell’ex ministro Giulio Tremonti, che in questa conversazione con Formiche.net ricostruisce la ratio dei rapporti europei con l’Asia, pre e post globalizzazione.
Lei era considerato un nemico della Cina? E come mai ieri Repubblica ha fatto il suo nome come precursore dei buoni rapporti tra Roma e Pechino?
Per cominciare, trovo comunque non appropriata la coppia “amico-nemico”. Nel 1994, pochi mesi dopo la stipula del Wto a Marrakesh, impostai un libro con Edward Luttwak. Nell’economia del libro, io avrei visto gli effetti della globalizzazione dal lato dell’Occidente, dell’Europa, lui dal lato dell’Asia. Luttwak intitolò il suo lavoro “Turbocapitalismo” ed io “Il fantasma della povertà”. Premesso che nel 1994 parlare degli effetti della globalizzazione era, come dire, visionario avevamo ragione entrambi. Per l’Asia fu il turbo, per noi il fantasma. La mia posizione non era comunque contro la globalizzazione ma, prevedendo gli squilibri economici, sociali e geopolitici che sarebbero stati causati dalla globalizzazione, pensavo che fossero appropriati tempi più lunghi e metodi più saggi. Tutto fu invece accelerato, e secondo me follemente accelerato, con l’ingresso dell’Asia nel Wto, avvenuto solo 7 anni dopo, nel dicembre del 2001.
L’ipotesi sui dazi quale ragione seguiva?
L’ipotesi politica su dazi europei temporanei e difensivi fu fatta per ridurre l’impatto violento che poi c’è stato. Dazi che tra l’altro ancora oggi vengono regolarmente applicati in Asia e in Usa. I dazi, comunque dazi europei e non nazionali, allora non venivano ipotizzati per bloccare la globalizzazione, ma per gestirla con più prudenza.
Come sono mutati i flussi di merci e di vie nel secoli e quali strategie hanno condotto al cambiamento a cui oggi assistiamo?
Se guardiamo le antiche carte geografiche, comunque le carte tracciate a partire dalla scoperta dell’America, vediamo che tutte avevano al centro l’Europa, l’America a sinistra e l’Asia a destra. Negli anni ’90 è stato ipotizzato un diverso impianto cartografico, con l’America al centro, l’Europa a destra e l’Asia a sinistra. Ma anche questo era vecchio, vecchio perché, quasi per definizione, la globalizzazione non ha un centro. Tutto è centrale. E comunque per l’Europa l’obiettivo è stare nel sistema, non importa se a destra od a sinistra.
Cosa si cela allora, per ragionare sui movimenti globalizzanti dei giorni nostri, dietro l’icona della via della seta?
Tutto ruota: se nei secoli passati l’asse è girato dal Mediterraneo all’Atlantico, adesso potrebbe iniziare una rotazione contraria, con il Mediterraneo che recupera centralità, come nel mito di Marco Polo.
Quindi vengono prima le merci o i mezzi per trasportarle?
Sul cammino percorso da Marco Polo, avanzando nella modernità, si è pensato e scritto sul “ponte eurasiatico”, sulle grandi ferrovie a lievitazione magnetica dalla Cina all’Occidente, sul “bridge” tra Europa e Asia. Qualcosa di simile si sta concretizzando oggi, dalla Cina alla Russia. E, a riprova della circolarità globale, è questo il pendant, il simmetrico del secondo canale di Panama. Rispetto a questi scenari geopolitici quello sugli investimenti asiatici in Italia è un capitolo oggettivamente minore.
Nel febbraio del 2010, e dopo molti anni (Kissinger, ndr) dall’ultimo invito rivolto al membro di un governo occidentale, lei venne invitato a Pechino a tenere una lezione alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese: sono veritiere le ricostruzioni di Repubblica sui momenti successivi a quell’incontro?
Io sono tornato nella Scuola del Partito anche dopo, nel 2010. L’articolo è buono, ma i fatti non corrispondono allo stile rigoroso proprio di entrambe le parti!