Domenica caccia F-16 dell’aviazione turca, avrebbero condotto attacchi aerei contro postazioni del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan): a rivelarlo è il sito web di notizie Hurriyet.
Si tratta della prima operazione di guerra della Turchia, dopo che nel 2012 era stato avviato un percorso di pacificazione tra il governo statale e i separatisti di “Apo” Ocalan (attualmente in carcere).
Gli attacchi aerei, che secondo le fonti locali sentite da Hurriyet avrebbero causato gravi danni ai combattenti curdi, sono arrivati dopo che da giorni i miliziani del PKK avevano messo sotto il proprio fuoco un avamposto militare turco. La zona è quella di Daglica, nella provincia di Hakkari, a soli 8 km dal confine iracheno.
Nessuno, per il momento, ha commentato i raid dal governo di Ankara. A quanto pare, tutto sembra essere collegato ad un’escalation della crisi tra curdi e turchi, derivata dall’immobilità di Ankara davanti alle azioni dello Stato Islamico a Kobane. Da decine di giorni, infatti, la città curdo-siriana è sotto assedio delle forze dell’IS: la Turchia, si limita ad osservare, con i mezzi militari disposti lungo la linea di confine che impediscono l’afflusso di combattenti curdo-turchi a sostegno dei “fratelli” del Rojava – PKK e YPG (le milizie curde-siriane) sono “affiliati”. La chiusura dei passaggi ha sollevato la rabbia delle popolazioni curde, con manifestazioni in varie città del mondo, che in Turchia sono sfociate (a Istanbul e Diyarbakiri) in scontri con la polizia – ci sono state anche diverse vittime.
Il PKK aveva avvisato che la “caduta di Kobane” sarebbe stata responsabilità (soprattutto) turca, e minacciato di “riaprire la guerra” – che, al di là della momentanea fase di pace degli ultimi tempi, a tutti gli effetti dura da 30 anni.
Ma la Turchia si è avvantaggiata: dalle basi di Diyarbakiri e Malatya, domenica si sarebbero alzati gli F-16 (e F-4) per colpire i curdi, che secondo quanto diffuso finora, stavano attaccando l’avamposto di Daglica da tre giorni con mitragliatori pesanti e lanciarazzi per rappresaglia al blocco di Kobane.
Nell’affrontare la crisi creata dall’offensiva del Califfo, la Turchia continua a procedere per una linea propria, tenendo fermi gli interessi personali; d’altronde è anche vero che il Paese si trova in una delicata posizione di esposizione – da un lato l’IS, dall’altro il PKK. Nella serata di domenica l’Amministrazione americana aveva diffuso voci sul raggiungimento di un accordo tra USA e Turchia per l’utilizzo delle basi Nato in territorio turco, ma il giorno successivo l’ufficio del primo ministro Davutoglu aveva smentito tutto.
Ankara, ha già dimostrato di non aver alcun interesse nell’aiutare i curdi – che teme possano uscire rinforzati dalla guerra allo Stato Islamico e dal sostegno internazionale. L’unica circostanza su cui il presidente Erdogan è disposto a porgere una mano (anche armata) al popolo curdo, è nel caso in cui si metta in chiaro che l’intesa abbia una finalità superiore, e cioè andare fino a Damasco e rovesciare Assad. D’altra parte, va ricordato che nessuno dei due gruppi curdi combattenti che si trovano a fronteggiare l’IS a Kobane, PKK e YPG, ha mai chiesto il sostegno alla Turchia: quello che chiedono (dietro alle ragioni delle rappresaglie) è che venga permesso il passaggio dei propri rinforzi verso la Siria – circostanza questa, appoggiata qualche giorno fa anche dal messo Onu per la Siria, Staffan de Mistura.
Questi attacchi del PKK a Daglica forniscono, per certi versi, una “scusa plausibile” alle visioni di Erdogan – e sono strategicamente un flop, di pancia e poco razionale, per i curdi.
Il bombardamento turco al PKK potrebbe di certo avere implicazioni sulle dinamiche che muovono i vari curdi (siriani, turchi e iracheni), attualmente unica forza di terra, potabile, per combattere lo Stato Islamico – per quanto spesso divisi.
Potenzialmente, dunque, potrebbe creare conseguenze anche sulla Coalizione internazionale che si sta muovendo tra i cieli del Califfato.
Ancora una complicazione: ma è il Medio Oriente, d’altronde; quel posto in cui le questioni geopolitiche più ampie, sono sempre minate da interessi locali e personali dei vari soggetti in campo.