Leon Panetta, già secondo Segretario della Difesa dell’attuale amministrazione americana, ha pubblicato un libro di memorie in cui critica duramente Barack Obama per il caos che regnerebbe alla Casa Bianca e per la dissennata strategia usata in Medio Oriente. Non è il primo a farlo. Era stato preceduto da Hillary Clinton e da Robert Gates. Nessuno aveva criticato il presidente in modo tanto diretto ed esplicito.
I media sono stati molto colpiti soprattutto dall’affermazione di Panetta che la guerra contro il Califfato Islamico trans-frontaliero fra l’Irak e la Siria durerà trent’anni. In realtà, Panetta non si riferisce solo all’attuale ISIS, ma all’intero terrorismo di matrice islamica. Parla infatti della Nigeria, della Libia e delle Filippine. La previsione che l’intero mondo islamico stia attraversando un periodo di trasformazione per molti versi simile a quello conosciuto dall’Europa con la “guerra dei trent’anni” era stata avanzata da Dominique Moisi quando era scoppiata la “primavera araba”. Secondo Panetta la politica di Obama ha stimolato tale guerra e ne ha reso più difficile la conclusione. I guai attuali, dovuti al sorgere dello Stato Islamico, sono però da addebitare in gran parte alla politica di Obama. Secondo Panetta, il presidente americano, premio Nobel per la pace, non possiede né visione, né determinatezza, qualità indispensabili per un “Comandante in Capo”. Inoltre si sarebbe circondato da yesmen incapaci e non darebbe retta alle istituzioni diplomatiche e militari. Panetta lo accusa di essere più un professore, assorbito dalle sue irrealistiche fantasie e dai bei discorsi, che uno statista. Sarebbe un esempio di quello che dice Kissinger a proposito degli “ideali che sono troppo importanti per essere lasciati agli idealisti”.
Secondo Panetta, a Obama va addebitata l’attuale disastrosa situazione in Irak e in Siria. Non ha seguito i consigli datigli dai suoi generali di non ritirare tutte le truppe americane dall’Irak nel 2011. Ha così determinato un vuoto di potere, occupato subito dall’ISIS, compromettendo così i risultati conseguiti dal suo predecessore (e dal generale Petraeus) con il surge e con l’accordo con le tribù sunnite del Sunni Awakewning, che avevano riportato una sostanziale pace nel paese. Tale avventata decisione è stata seguita da quella di respingere il consiglio del Pentagono di mantenere fede alla promessa fatta d’intervenire in Siria contro Assad, qualora le forze governative avessero superato la “linea rossa” dell’uso delle armi chimiche contro gli insorti. Ha così definitivamente compromesso il prestigio e la credibilità degli USA, già colpiti dalle fantasie obamiane sul moderatismo della Fratellanza Musulmana e sulla possibilità di unire i rissosi insorti moderati in Siria e, soprattutto, dal tradimento degli autocrati amici degli USA, per appoggiare i loro oppositori. Non per nulla Obama gode, nel mondo islamico, di opinioni favorevoli inferiori a quelle del suo predecessore.
Oggi Obama si confronta con la dura realtà di come sconfiggere le forze del Califfato islamico. Panetta sostiene che pensare di poterlo fare solo con i bombardamenti aerei è pura follia. Tutt’al più essi potranno diminuire le capacità convenzionali dell’ISIS. Beninteso, Panetta è dell’idea che gli USA dovessero intervenire in Irak, se non altro per tentare di riparare al danno fatto. Per la Siria, la cosa è diversa. In tale caso, la strategia è offensiva, non difensiva. Non può esserlo perché in Siria manca la fanteria, che possa sfruttare i risultati dei bombardamenti. Pensare che essi possano distruggere un’organizzazione come l’ISIS, è come andare a caccia di topi in cantina con le bombe a mano. Panetta rimprovera a Obama di non sapere che cosa sta facendo, di non avere strategia, di aver reagito troppo tardi e troppo debolmente. Il Presidente degli Stati Maggiori riuniti aveva chiesto al presidente di schierare 25.000 soldati americani, ma era stato respinto addirittura con stizza e scherno. In compenso, consapevole delle proprie responsabilità ha “scaricato” la colpa di aver sottovalutato l’ISIS sull’intelligence americana. E’ un’affermazione che passerà alla storia come il bollettino di Cadorna dopo Caporetto.