La guerra tra milizie in Libia non è solo un problema del Paese nordafricano. Secondo molti analisti, per diverse ragioni le dinamiche alla base dell’instabilità del Paese dovrebbero interessare tutta la regione (e non solo).
LE MILIZIE IN CAMPO
Da maggio nel Paese – spiega con dovizia di particolari l’analista Mattia Toaldo in un articolo su Limes – si confrontano due coalizioni armate, “Dignità” e “Alba”. “Dignità raggruppa pezzi del vecchio esercito che abbandonarono Gheddafi nel 2011, i “federalisti” della Cirenaica e le milizie di Zintan che controllavano Tripoli fino a qualche settimana fa. Alba è centrata sulle milizie di Misurata che ora controllano la capitale ma include anche milizie islamiste. Ha una convergenza di interessi con Ansar al Sharia, il gruppo accusato di aver ucciso l’ambasciatore americano Christopher Stevens nel 2012 e che ora controlla vaste zone della seconda città del Paese, Bengasi“.
UN PAESE DIVISO
Le due fazioni hanno creato da circa due mesi due governi alternativi. Il primo, riconosciuto internazionalmente, è quello guidato da Abdullah al-Thinni che ha sede a Tobruk, ad est del Paese. È stato scelto dal parlamento eletto lo scorso 25 giugno. Il secondo è il governo di Omar al-Hasi, eletto dalla passata assise, il Congresso Generale Nazionale. Ha sede a Tripoli.
Inoltre, circa 70-80 parlamentari su 191 di quelli a Tobruk, i cosiddetti “boicottatori”, rifiutano di partecipare alle assemblee.
“Militarmente – prosegue Toaldo –, il governo al-Thinni comanda sull’esercito regolare nel quale sono confluite le forze che facevano parte di Dignità, mentre al Hasi si appoggia sulla coalizione Alba“.
IL CIRCOLO VIZIOSO
Ma perché quel che accade tra queste milizie dovrebbe interessare l’Occidente? Al di là delle conseguenze più ovvie che il perpetrarsi dell’instabilità libica può avere sulle regioni circostanti e sull’area mediterranea (dall’immigrazione clandestina al transito di jihadisti o di materiale illecito di qualsiasi sorta), c’è anche un tema politico da non sottovalutare.
L’incapacità dello Stato libico di tenere a freno le milizie – spiega Mieczyslaw Boduszynski in un Op-Ed sul Los Angeles Times – ha portato ad un circolo vizioso. “Una diffusa percezione di impotenza del governo mina la sua legittimità, che a sua volta spinge i gruppi armati a sostenere che non possono rinunciare alle loro armi fino a quando il governo è incapace di garantire la sicurezza. In questa spirale di sfiducia, le milizie sono causa e conseguenza della debolezza dello Stato“.
PERCHÉ È IMPORTANTE
Secondo Boduszynski, già diplomatico statunitense in Libia, oggi assistente professore di Politica e relazioni internazionali al Pomona College di Claremont, è improbabile che gli effetti di questo caos rimangano confinati al territorio di Tripoli.
“Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno presumibilmente sostenuto Khalifa Haftar, l’ex generale dell’esercito, con attacchi aerei; Qatar e Sudan hanno riferito di aver prestato sostegno alla milizia Alba, che ora controlla gran della capitale. L’insicurezza del periodo post-Gheddafi alimentata dai gruppi armati è stata già esportata, ad altre nazioni, tra cui la Tunisia, Niger, Ciad e Mali“.
In particolare, sottolinea il docente, “Siria e Irak“, dove le forze armate e americane si sono ormai imbarcate in un lungo conflitto con lo Stato Islamico del califfo al-Baghdadi, “si troveranno ad affrontare gli stessi dilemmi post-conflitto, come quelli in Libia“.
Per questo, “la questione centrale è come integrare le milizie nelle strutture statali legittime e garantire loro una vera e propria partecipazione nel futuro del Paese“. È questa la vera priorità nella stabilizzazione. In caso contrario, questo è l’allarme degli esperti, sarà effetto contagio.