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Non è solo Matteo Renzi contro Susanna Camusso

Sono stati comprensibilmente numerosi i resoconti e i commenti delle due manifestazioni che hanno fortemente caratterizzato l’ultimo weekend: la Leopolda a Firenze e Piazza San Giovanni a Roma.

Si è trattato infatti di un insieme di avvenimenti destinati a produrre durature conseguenze anche politiche, e probabilmente non soltanto in Italia.

La prima domanda di fondo che ci si è posti è stata infatti: sarà capace il Partito democratico di tenere insieme governo e identità?

L’avvenimento della Leopolda si è infatti caratterizzato – ma non soltanto questa volta – per la ripetuta affermazione di una “volontà maggioritaria”.

La manifestazione della Cgil promossa da Susanna Camusso ha invece molto fortemente insistito sulla “identità di sinistra”.

In nessuna delle due manifestazioni è stata sventolata la bandiera del Pd, quasi a dimostrazione del fatto che si trattava di manifestazioni quasi personali e non strettamente considerate quali iniziative potenziali di partito.

La mancanza della bandiera del Pd nell’una e nell’altra manifestazione non è stata peraltro spesso rilevata, pur trattandosi di fatti caratterizzati proprio per i rilevanti aspetti politici di fondo che le due manifestazioni hanno finito con l’avere.

Da un lato infatti la vocazione maggioritaria finisce con l’essere (e non soltanto da oggi) una vocazione che tende alla conquista della maggioranza popolare caratterizzandosi quasi quale quella di un movimento nuovo che guarda a sinistra, riecheggiando il “degasperiano” partito di centro che guarda a sinistra.

Dall’altro lato invece, sembra riaffermarsi l’idea che quel che conta è proprio la natura di sinistra che può anche essere veltronianamente a vocazione maggioritaria, purché si parta sempre da una ribadita identità di sinistra.

Si potrebbe in tal caso affermare che – all’atto costitutivo del Pd –  si era in presenza di un partito di sinistra che guarda al centro.

Nell’ultimo weekend non si è dunque assistito soltanto a una vicenda quasi personale  che si è svolta tra Matteo Renzi e Susanna Camusso, ma si è assistito a una molto più profonda questione che riguarda la natura stessa del Pd di Renzi.

Non siamo infatti in presenza di una pura e semplice continuità tra la vocazione maggioritaria di Veltroni e quella di Matteo Renzi: la prima aveva infatti una specifica radice identitaria collocata proprio nella sinistra originariamente coltivata dal Partito comunista italiano, che dopo il 1989 era divenuto Pds, Ds quindi e Pd infine.

In quel contesto, sarebbe stata infatti impensabile una formale divisione del Pd tra identità e governo, e di conseguenza sarebbe stata del tutto inimmaginabile una grande manifestazione delle Cgil contro un Governo retto dal Segretario del Pd.

Nel nuovo contesto che si è aperto con il passaggio da Enrico Letta a Matteo Renzi invece la divaricazione tra identità e governo sta diventando sempre più lacerante.

Occorre infatti aver presente che Enrico Letta era pur sempre il vice segretario di Bersani (proveniente dal Pci), mentre oggi Matteo Renzi è allo stesso tempo Presidente del Consiglio e Segretario del Pd senza in alcun modo provenire né dal vecchio Pci, né dal Pds,né dal Ds.

Chiunque voglia pertanto lavorare per una alternativa politica al Pd renziano deve aver presente che non sarebbe più né una alternativa ad una sinistra tradizionalmente rappresentata dal Pci, né una alternativa che possa in qualche modo mettere insieme i soggetti che si sono costruiti dal 1994 a oggi proprio sul presupposto di essere alternativi a quella identità.


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