Dal caos libico alle tensioni ucraine, passando per l’ascesa dell’Isis in Medio Oriente, non sono pochi i teatri di crisi che occupano e preoccupano l’Occidente.
Di questi focolai e del ruolo dell’Italia ha parlato con Formiche.net l’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato defense college foundation, che il 7 e l’8 ottobre ha tenuto un seminario sul futuro dei Balcani, un’area strategica per il nostro Paese.
Ambasciatore, l’Isis è ormai alle porte della Turchia. Come analizza l’evoluzione del confitto? E quale soluzione immagina?
È ormai evidente come in Medio Oriente ci si trovi davanti a un enorme problema politico e non religioso, come viene spesso camuffato. Sciiti e sunniti esistono da secoli, ma ora pare essersi aperto uno scontro ancora più violento su chi comandi nel mondo arabo. La prova più evidente di questa tesi risiede nel fatto che l’esercito irakeno, pur dopo anni di investimenti e addestramento, si sia sciolto come neve al sole. Ciò è accaduto perché ci si trovava di fronte a generali “politici” e non davvero militari. In questo panorama confuso, sicuramente ora a sorridere all’Iran. Col senno di poi possiamo dire che se Bush non fosse intervenuto così pesantemente in Irak, forse oggi il quadro sarebbe meno instabile.
Sebbene passato al momento in secondo piano, un altro focolaio che ci tocca da vicino è quello ucraino. Dopo questo ulteriore round di sanzioni, la tensione tra Russia da un lato e Kiev, Usa ed Europa dall’altro salirà ancora?
Sono mesi che se ne discute, perché sono molti i nodi da sciogliere: energetici, politici, culturali. E c’è la consapevolezza diffusa tra le parti, che per il bene di tutti non si debba far crescere il problema oltre questa soglia. Ma è mia opinione che al di là dei ragioni e dei torti, vada rispettato il diritto internazionale. Non si possono, come ha fatto Mosca, cambiare i confini senza un negoziato o inglobare una nazione o una sua parte unilateralmente solo attraverso un referendum.
Un fronte ancora più vicino all’Italia è quello libico. Che ruolo può avere Roma?
L’Italia dovrebbe farsene ancora più carico di quanto già non faccia. Pur riferendomi a una situazione totalmente diversa, credo che serva quel coraggio politico che il governo di Romano Prodi ebbe a suo tempo nei confronti dell’Albania. Servirebbe una struttura dedicata a Palazzo Chigi, con uno specifico rappresentante personale del presidente del Consiglio italiano nel Paese. Il nostro ambasciatore, sebbene validissimo, non può sopportare da solo un carico così pesante. Bisogna mobilitare risorse e chiamare in causa anche altri Paesi, coordinandoli. Mi rendo conto che questo ci fa un po’ paura, perché potremmo fallire, ma è bene farlo. In tutte le sedi la Libia è nella percezione comune un problema italiano e saremmo sciocchi se aspettassimo che ad occuparsene sarà qualcun altro.
In un seminario che si è concluso ieri, la Nato Defense College Foundation, di cui lei è presidente, si è concentrata invece sui Balcani. Perché è importante discuterne?
Per l’Italia i Balcani sono un po’ il cortile di casa. Abbiamo un po’ dimenticato questo tema, che seguivamo con maggiore attenzione negli anni ’90. Siamo un Paese un po’ distratto. Da un lato non siamo una grande potenza, dall’altro a volte ci sembra di sminuire la nostra posizione interessandoci di regioni che consideriamo meno strategiche. Invece dovremmo provare a non lasciare nelle mani di Germania e Austria la leadership politico-economica dell’area. Non c’è certo di bisogno di una approccio coloniale, ma di guida e collaborazione. Non è un caso che tutti i Paesi dei Balcani considerino l’Italia il naturale stabilizzatore del territorio. Anche per questo non va sottovalutato che vi persistono ancora problemi, come il futuro della Bosnia-Herzegovina e il delicato rapporto tra Serbia e Kosovo. A tutti questi temi l’Italia può offrire un contributo fondamentale, agevolando anche il dialogo con la Russia, nuovamente attiva nel Mar Nero e nell’intera regione.