La notizia è giunta a Siena come l’ennesimo terremoto finanziario. A seguito degli stress test effettuati dalla Banca centrale europea sugli istituti creditizi dell’Euro-zona, il Monte dei Paschi è chiamato a rafforzare il proprio capitale di 2,11 miliardi.
Una cifra superiore alle attese del mercato, e che non pochi analisti hanno messo in relazione con l’intensa attività di monitoraggio e denuncia portata avanti dall’ingegnere ed ex banchiere della City di Londra Giuseppe Bivona, come lascia intendere oggi Federico Fubini sul quotidiano la Repubblica.
CHI E’ BIVONA
Figura che ha affiancato il Codacons e il suo presidente Carlo Rienzi in un lungo duello con l’attuale vertice di Mps. Capifila di un fronte trasversale che invoca la nazionalizzazione del Monte, Rienzi e Bivona – una lunga esperienza nelle più importanti banche d’affari internazionali con ruoli di alta responsabilità in Lehman Brothers, Morgan Stanley, Goldman Sachs – hanno tratto spunto per la loro offensiva dalla scelta, compiuta a fine 2013 dall’assemblea dei soci, di rinviare a giugno 2014 l’aumento di capitale per 3,3 miliardi proposto dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola. Un’operazione finalizzata a restituire al Tesoro i Monti bond – 3,9 miliardi di euro – stanziati nel 2012 per risanare i conti dello storico istituto creditizio.
(UN RECENTE RITRATTO DI FORMICHE.NET SU BIVONA)
IL NODO MONTI BOND
Ricapitalizzazione che a giudizio dell’analista di mercato non era legittima poiché configurava un indebito aiuto di Stato. L’alternativa da lui proposta con l’organizzazione a tutela dei consumatori prevedeva un intervento delle istituzioni finalizzato a promuovere cambiamenti nel management e nella governance anche entrando nell’azionariato dell’istituto creditizio: “Esattamente come ha fatto il Tesoro inglese con Llyods Bank e con Royal Bank of Scotland, di cui oggi possiede l’80 per cento”.
I DOSSIER FINANZIARI
L’altro terreno di scontro con Profumo e Viola riguardava la correttezza e trasparenza del bilancio 2013 del Monte.
L’oggetto del contendere erano i piani di rifinanziamento di lungo termine sui Btp, frutto delle ristrutturazioni dei prodotti finanziari “Santorini” e “Alexandria” acquistati da Deutsche Bank e Nomura. Prodotti che per Bivona non andavano classificati come rassicuranti titoli di Stato bensì come Credit Defaul Swap: strumenti derivati che offrono con un elevato tasso di rischio la possibilità di coprirsi dall’eventuale insolvenza di un debitore.
Elementi che lo portano nell’aprile 2013 a votare contro l’approvazione del bilancio, denunciando “l’occultamento di 5 miliardi di derivati che avrebbero prodotto una perdita tra 1,5 e 2 miliardi, di cui 600 milioni relativi all’affaire Nomura”.
DENUNCE E DOSSIER
E che lo spingono – ricorda oggi su Repubblica Federico Fubini – a scrivere alla Bce, al parlamento tedesco e alla Bundesbank, all’ex Commissario Ue alla Concorrenza Joaquin Almunia. Il tutto affinché Bruxelles neghi l’autorizzazione al prestito di 4 miliardi stabilito dallo Stato italiano a favore di Mps tramite la sottoscrizione dei Monti bond.
E spingere il governo Letta-Saccomanni a includere nel piano di ristrutturazione la sostituzione di Profumo e Viola, “cui non può essere affidata l’azione di risanamento della banca e la gestione di 4 miliardi versati dai contribuenti”.
L’ANALISI DI FUBINI
Una grande mole di rapporti che, spiega il giornalista del quotidiano diretto da Ezio Mauro, hanno trovato parziale riscontro nella nota pubblicata dalla Bce in occasione degli stress test sugli istituti creditizi dell’Euro-zona.
L’Eurotower osserva infatti che la transazione effettuata da Mps con la banca giapponese Nomura concerneva un derivato. Ma, al contrario di quanto adombrato nelle denunce di Bivona e Rienzi, riconosce che “il Monte, su spinta di Bankitalia, non nasconde e anzi rende noto nel bilancio l’impatto dell’operazione”.