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Orbital e SpaceX, cosa fanno le società per la Stazione spaziale internazionale

Il trasferimento di know-how e tecnologia a imprese private desiderato da Barack Obama, ha rinnovato profondamente il sistema aerospaziale americano negli ultimi anni, consentendo a realtà come SpaceX ed Orbital Sciences di affacciarsi, competere sul mercato e spuntare dalla Nasa grossi contratti. Uno di questi, di cui OS è stata infelice protagonista a causa dell’esplosione del razzo Antares lanciato dalla Virginia, prevede il rifornimento di viveri e apparecchiature alla Stazione spaziale internazionale.

LE CAPSULE

Laute, come detto, le intese. La Nasa ha assegnato alla Orbital un contratto da 1,9 miliardi di dollari per una serie di missioni, mentre a SpaceX ne sono andati 1,6. Entrambe le aziende sono state parte integrante dell’ampio programma Commercial Orbital Transportation Services, che prevedeva tra le altre cose un nuovo sistema di trasporto cargo. SpaceX, la compagnia del magnate sudafricano Elon Musk (ceo anche di Tesla Motors), vi ha contribuito con la capsula Dragon, che viene lanciata con un Falcon 9. Mentre gli ingegneri di OS hanno sviluppato Cygnus (esplosa nell’incidente assieme al vettore che la trasportava). Entrambe le aziende, hanno soddisfatto nei test gli altissimi criteri di sicurezza dell’agenzia spaziale americana, che come ha avuto modo di dire in più occasioni l’amministratore della Nasa in persona, Charles Bolden, ha cercato di “realizzare un sistema di trasporto commerciale sicuro, affidabile e conveniente“, a poco più di tre anni dal pensionamento degli Shuttle nel luglio 2011. Tutte missioni di rifornimento vere e proprie, invece, vengono effettuate all’interno di un altro programma, Commercial Resupply Services.

LE CARATTERISTICHE

Per aumentare la propria capacità di effettuare nuove indagini scientifiche sul laboratorio orbitante, esperimenti sulla ISS e assicurare una continuità di rifornimento per i lunghi periodi in cui gli astronauti sono impegnati in attività di ricerca, la Nasa ha preferito puntare su due razzi e capsule differenti. I due sistemi cargo hanno infatti caratteristiche diverse. Cygnus – realizzata in partnership con la joint-venture italo-francese Thales Alenia Space, che ha svilppato i moduli Pcm (Pressurized Cargo Module) – prevede un rientro distruttivo nell’atmosfera terrestre, ma è capace di trasportare molto materiale grazie ad un vano pressurizzato di grandi dimensioni; Dragon, invece, consente di tornare sulla Terra e riportare dunque i risultati raccolti nello spazio a beneficio dei laboratori terrestri. Esistono due versioni di Dragon: una per il trasporto merci, e un’altra per il trasporto di persone. In questa seconda configurazione, la capsula può portare un equipaggio fino a sette elementi.

NON SOLO MERCI

Questo tipo di approccio di inclusione privata nel settore ha ragioni economiche, ma anche gestionali, come ha spiegato in una recente visita a Roma lo stesso Bolden. Da un lato la competizione stimola l’innovazione e consente di portare le spese al ribasso. Inoltre affidando all’esterno aspetti di routine, l’agenzia potrà concentrarsi su obiettivi più ambiziosi nell’esplorazione dello spazio, come l’auspicato primo viaggio per Marte entro il 2030. Per questo l’impiego di corporation nello sviluppo di veicoli spaziali, voluto dalla Nasa, non si ferma qui. L’agenzia spaziale Usa punta a tornare autonoma anche nel trasporto di astronauti. Questo obiettivo dovrebbe realizzarsi dal 2017, grazie a un’intesa da 6,78 miliardi di dollari siglata con Boeing e ancora SpaceX (anche se il primo degli esclusi, Sierra Nevada, ha presentato ricorso), che attiene al programma CCtCap, l’ultima fase del più vasto Commercial Crew Development partito nel 2010. Ora, dopo l’uscita di scena dello Shuttle, la navicella russa Soyuz è l’unico modo per trasportare equipaggi umani sulla Iss e riportarli a terra. Ciò potrebbe cambiare con il Cst-100 (Crew Space Transportation) del gigante di Chicago e la navetta Crew Dragon dell’azienda californiana di Musk.

Image Credit: NASA/Joel Kowsky



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