Un felice connubio di sapere, saper essere, saper fare. E saper ascoltare i collaboratori, chi investe il capitale e i giovani portatori del futuro.
È il profilo dei manager italiani che emerge nel libro “Risorse sovraumane. Autoritratto dei manager italiani oggi”.
Chi sono i manager?
Il volume, scritto dalle ricercatrici Monica Fabris ed Emma Villa e presentato all’Università Luiss “Guido Carli” di Roma, è frutto di una ricerca promossa da Federmanager. Lavoro che attraverso un metodo di osservazione antropologica tenta di fornire risposte ad alcuni interrogativi.
Come si percepiscono attualmente gli alti responsabili di aziende private e dell’apparato burocratico? Vi sono valori, stili di vita, modi di pensare in cui essi si riconoscono? Tanto più all’indomani di una crisi che li ha colpiti duramente e in uno scenario che richiede le loro competenze per rilanciare la crescita economica?
Altro che arrampicatori assetati di successo
Lungi dall’incarnare lo stereotipo rapace, rampante e individualista trasmesso dai mass media, la figura del dirigente offre un patrimonio umano e professionale molto robusto sul piano etico.
Artefice dell’indagine e direttrice del centro ricerca “Episteme”, Monica Fabris ha riscontrato la presenza di principi unificanti nell’eterogeneità delle attività dei manager: merito, impegno, tenacia, propensione al sacrificio, responsabilità, apprendimento tramite l’esperienza, capacità relazionale, realismo, tensione verso la conoscenza, attitudine all’innovazione.
Peculiarità vitali soprattutto in un “paese sotto-managerializzato”. Nel quale i dirigenti sono “orfani di riconoscibilità, statuto e identità collettiva”. Pur vantando il merito, rimarca il direttore generale Luiss Giovanni Lo Storto, di aver mantenuto vivo il tessuto economico in un’Italia prigioniera della crisi produttiva e competitiva da prima del 2008.
Gli ostacoli politico-legislativi
Tuttavia, rileva il presidente dell’Associazione dirigenti pubblica amministrazione Pompeo Savarino, il loro operato viene vissuto spesso con grande difficoltà. Perché una parte dei vertici della PA frena i processi riformatori in una logica auto-referenziale.
A tale blocco conservatore si aggiunge il fatto che i manager dell’apparato statale e locale non possono scegliere liberamente i collaboratori migliori. “La ragione risiede nel proliferare di regole sempre più complicate e nel moltiplicarsi degli interventi di varie autorità”.
La classe politica, precisa il numero uno di AGDP, non ha provveduto a rendere semplice e razionale il quadro. A partire dal 1993 ha promosso 7 riforme della burocrazia. E ha respinto la proposta di un “assegno circolare formativo” per favorire la mobilità dei manager e il loro passaggio tra pubblico e privato.
Un dato clamoroso
A riprova che il loro ruolo è cruciale per la fisionomia futura del capitalismo italiano, il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni illustra i risultati di due ricerche realizzate di recente.
La prima, svolta da Prometeia, era finalizzata a capire gli effetti delle acquisizioni straniere di aziende nazionali in termini di spinta alla competitività e innovazione. Fattore schizzato verso l’alto una volta che la gestione familiare ha lasciato spazio alla conduzione di manager esterni.
L’altra ricerca, effettuata da Nomisma, ha prodotto un esito ancor più sorprendente. Nel raffronto tra un campione rappresentativo di imprese italiane e tedesche emerge un nostro ritardo del 15-20 per cento nel terreno della produttività. Ma il rapporto si rovescia eliminando dal calcolo le piccole e medie aziende del nostro paese guidate da nuclei familiari.
Non sempre è premiato il merito
Bastano simili cifre per ricordare quanto è prezioso il legame tra ruolo di imprenditore e manager: “Affinché si completino e integrino a vicenda in una cultura alta e inclusiva di impresa”.
Ma spesso, evidenzia Ambrogioni, in Italia la qualifica di manager è attribuita a persone di fiducia o per appartenenza politica. Mancano autentici percorsi di formazione dirigenziale. E gli stessi parametri per determinare remunerazioni e premi alterano la selezione del merito e della responsabilità personale.