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La manovra di Renzi è razionale e coraggiosa. Parla Marco Fortis

Una Legge di stabilità che, nonostante ombre, silenzi e limiti, nutre l’ambizione di promuovere la rinascita produttiva del nostro Paese. Così si presenta il provvedimento di finanza pubblica messo a punto dal governo.

Per capire se i suoi contenuti si riveleranno all’altezza delle promesse e degli obiettivi prefissati Formiche.net ha interpellato Marco Fortis, professore di Economia industriale e Commercio estero all’Università Cattolica di Milano e vice-presidente Fondazione Edison, tra gli studiosi più ascoltati a Palazzo Chigi da quando c’è Renzi e in passato apprezzato dall’ex titolare del Tesoro, Giulio Tremonti.

La riduzione di 18 miliardi di tasse può favorire la ripresa economica?

Ritengo di sì. Nella fase di calo consecutivo del Prodotto interno lordo che stiamo vivendo da tre anni, occorre una scossa su due versanti fondamentali. Da un lato il mercato del lavoro e la produzione. In tale logica si muovono il taglio dell’IRAP sulla componente lavoro del reddito delle aziende e gli sgravi tributari triennali per i contratti a tempo indeterminato.

E dall’altro lato?

La stabilizzazione del bonus di 80 euro nella busta paga dei lavoratori dipendenti produce risparmio progressivo nel tempo e può promuovere spese crescenti per i consumi. Le cifre fornite da Confcommercio per i mesi da giugno ad agosto sono incoraggianti. Entrambi i provvedimenti servono a dare fiducia ai consumatori, e a stimolare le imprese a ripartire con più coraggio verso la ripresa.

La Legge di stabilità si discosta dalle regole europee?

Tutt’altro. Le due iniziative fiscali intraprese dall’esecutivo corrispondono a un target previsto dalle istituzioni comunitarie. Evidenziando gli squilibri macroeconomici dell’Italia, la Commissione UE ha proposto più volte la riduzione incisiva delle tasse oltre alla riforma del mercato lavoro e della giustizia civile. La manovra permetterà al nostro governo di aprire un tavolo di confronto con Bruxelles sulla flessibilità nell’avvicinamento all’obiettivo del bilancio strutturale. E vi è un ulteriore elemento a nostro vantaggio.

Di cosa si tratta?

L’Italia sta producendo avanzo primario da ben 21 anni. Fattore che oggi ammonta al 2 per cento del Pil. La cifra più elevata in tutta l’Unione Europea, superiore a quella di Usa e Giappone. E ricordo che, al contrario della Francia, i nostri conti pubblici rientrano nel limite del 3 per cento tra deficit e Prodotto interno lordo. Gran parte dell’incremento del debito pubblico dell’Italia dal 2008 al 2014 è stato provocato dagli interessi sul passivo di bilancio. Pagati in tempi rapidi grazie all’avanzo primario.

L’intervento del governo sull’IRAP ha una natura “berlusconiana?”

Più che ispirarsi a ricette del passato, l’esecutivo si è improntato alle indicazioni della Commissione Europea e ai consigli pronunciati dal governatore della Bce Mario Draghi nel suo intervento a Jackson Hole negli Stati Uniti. Agire a favore di consumatori e imprese vuol dire favorire due fattori virtuosi per l’aumento del Pil. Tagliare la spesa pubblica, invece, va a incidere su ambiti in cui quei moltiplicatori per lo sviluppo sono meno presenti. Rispetto a chi parla di “manovra di sinistra o di destra”, rilevo che la Legge di stabilità è ragionevole. Frutto della combinazione positiva di due elementi.

Quali?

È un testo fortemente politico, che risente dell’impronta di Matteo Renzi ed è supportato dall’imprinting economico di Pier Carlo Padoan. Una miscela tra le loro idee, un lavoro a quattro mani sui numeri oltre che sei contenuti generali. Novità indubbia rispetto al passato, quando la manovra di bilancio era il prodotto quasi esclusivo del lavoro del capo del Tesoro.

La convincono le coperture finanziarie?

Sì, se ci atteniamo a quanto affermato dal responsabile dell’Economia. È stato promosso un intervento di spending review piuttosto forte, ripartito in modo costruttivo fra tutti i ministeri con un clima meno teso che in passato. Vorrei che anche regioni e comuni riconoscessero l’eccezionalità del momento e agiscano con coerenza per una seria riduzione della spesa pubblica.

Stefano Fassina lamenta tagli eccessivi specie nei trasferimenti finanziari agli enti territoriali.

Ritengo poco responsabile appellarsi a generiche esigenze di spese, per inasprire le tasse locali trovando un alibi al mancato sforzo di risanamento dei bilanci. Basta con gli scaricabarile e i cori di lamentele. Anche perché è il settore pubblico ad aver compiuto meno sacrifici nella riduzione della spesa, rispetto al comparto privato gravato da una pesante tassazione. Peraltro si tratta di tagli selettivi e non abissali.

Privatizzazioni e dismissioni immobiliari restano al palo nell’iniziativa di Palazzo Chigi.

È un punto che non mi meraviglia. Il capo del Tesoro ha spiegato che questa non è la fase migliore per collocare sul mercato e vendere, a causa dei prezzi non convenienti. Non credo manchi la volontà politica in merito, vista la strategia di apertura agli investimenti stranieri messa in campo dal premier con i viaggi a Londra e i rapporti con la Cina.

Con il rinvio del pareggio di bilancio Renzi ha inferto un colpo al Fiscal Compact?

Il premier ha promosso una manovra razionale e coraggiosa, pur rientrando pienamente nei limiti europei. È riuscito a porre in Europa il problema della coerenza complessiva dei provvedimenti. Rivelando che è inutile perseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio strutturale, quando il calo del PIL provocato da crisi e recessione pregiudica ogni sforzo di risanamento del debito pubblico.

È stata messa in campo una manovra keynesiana?

Non esagererei con tali terminologie per l’aumento dal 2,2 al 2,9 per cento del rapporto deficit-PIL. Le misure keynesiane nel corso della storia furono realizzate in assenza di vincoli finanziari – accettati troppo supinamente da tutti i paesi europei – e avevano portata ed efficacia molto ampia. L’Italia ha margini di manovra ristretti, soprattutto nella relazione tra debito pubblico e Prodotto interno lordo da tenere sotto controllo. Lo stesso avanzo primario non può essere troppo rosicchiato. E se pur anacronistico, il vincolo del 3 per cento costituisce un segnale cruciale per i mercati.  Rispettarlo vuol dire stare nei patti.

Il Corriere della Sera rileva che non è previsto alcun aumento degli investimenti pubblici nella Legge di stabilità.

Mi sembra un’osservazione poco centrata. Accrescere gli investimenti pubblici oggi richiede una revisione e riduzione della spesa ancor più radicale rispetto a quella ambiziosa portata avanti finora. Gli investimenti pubblici, essenziali per la ripresa economica, li può rilanciare soltanto la Commissione UE con il piano da 300 miliardi preannunciato da Jean-Claude Juncker. Non possono essere affidati a un singolo paese come l’Italia che rischia di essere bacchettato per ogni iniziativa sul fronte delle uscite.

Il nostro paese ha le mani legate su questo versante?

Non del tutto. Grazie allo sblocco del Patto di stabilità interno per interventi mirati, numerose amministrazioni locali potranno mettere in campo risorse utili per la crescita.


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