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Perché Napolitano ha vinto una battaglia ma non la guerra del Tribunale di Palermo

Giorgio Napolitano ha affrontato l’assurda richiesta di testimonianza avanzata dai pm e poi dal Tribunale di Palermo con il suo solito stile fatto di intelligenza, senso della dignità e colta pignoleria. E come al solito ha vinto la sua battaglia di fronte ad accusatori sguaiati che vogliono fare un processo non a singoli imputati ma alla storia. Ma ha vinto la guerra per restaurare in Italia uno stato di diritto consapevole degli interessi nazionali? A mio avviso no.

Aveva avuto uno scatto nel senso giusto quando sulle intercettazioni si era rivolto alla Corte costituzionale ma anche quello era uno “scatto a metà” perché in realtà avrebbe dovuto porre la questione di un attacco a organi costituzionali fondamentali e di conseguenza stanare chi nella magistratura tende a definirsi come un contropotere non alla politica, al governo – ruolo che chi esercita la tutela della legge deve poter esercitare – ma allo Stato. Pratica in grande uso specie dal 1992 quando magari con la scusa (non priva di argomenti d’appoggio) di esercitare un ruolo di supplenza ha costruito elementi di un contropotere esorbitante persino una Costituzione che sull’organizzazione dei poteri dello Stato è in crisi dopo la fine della Guerra fredda.

Andare a testimoniare in queste condizioni ha creato un precedente che potrebbe finire (e probabilmente finirà) per consolidare un contropotere disgregatore (ahimè una tendenza a stravolgere gli ordinamenti statuali gestita da una corporazione di tipo feudale non ha neanche gli esiti “d’ordine” che hanno in certe occasioni i golpe militari) che già abbiamo visto in opera in questi ultimi venti anni. E le immediate mosse contro il neodemonio Luciano Violante (il traditore che oggi vuol riformare la magistratura) fanno capire quel che potrà succedere

Certo, si pensa, con Giovanni Legnini vicepresidente del Csm, con un Guardasigilli prudente e abbastanza saggio come Andrea Orlando di potere procedere passin passetto, selezionando persone e provvedimenti per aprire una strada a -sia pur non sempre decisive- riforme. Però basta vedere come è finito il “riformista” Edmondo Bruti Liberati o come è stata trattata appunto la Lady Macbeth della politica italiana (il povero Violante ossessionato da quel che ha combinato all’inizio del 1992 e impegnato a rimediarvi almeno in parte) per capire come finirà il cauto, colto, intelligente, dignitoso, perbene riformismo à la Napolitaine.

Se volessimo essere coltamente pignoli scorreremmo la lunga storia dell’inquilino del Quirinale e potremmo constatare quante eleganti battaglie condotte da quest’ultimo (dal riformismo nel Pci alla difesa del garantismo nel 1993, alla difesa di una piena sovranità popolare & nazionale dopo il 2009) siano state intelligentemente vinte ma solo al prezzo di perdere al fondo le varie guerre strategiche in corso. Come diceva un antico grande dirigente del Pci, c’è chi è capace di usare solo il fioretto e quando i tempi richiedono di saper impugnare la sciabola, si smarrisce.

Ma restiamo alla partita in corso. E’ evidente come nella nostra magistratura vi sia un ampio fronte di giudici e pm che vorrebbero una giustizia “normale”: le sentenze Orsi, Romeo, caso Ruby, Dolce e Gabbana lo testimoniano, così le reazioni allo scandaloso comportamento del giudice Enrico Tranfa. Però il meccanismo innanzi tutto determinato dall’ordinamento costituzionale (lo status dei pm consociati ai giudici è un’invenzione del corporativismo fascista che ha un parallelo solo nell’appunto corporativista Portogallo salazariano) e saldatosi alla disgregazione di quello stato dei partiti determinato dalla Costituzione del 1947 e messo in crisi dalla fine della Guerra fredda, blocca un’iniziativa essenzialmente centrata sull’interno corpore della magistratura. Anche per l’intimo rapporto che questo “corpus” ha costruito con l’altra forza che ha assunto un ruolo di supplenza della democrazia politica (peraltro anche perché condizionata per via giudiziaria nelle “proprietà” e per l’arruolamento via “notizia privilegiate” di redattori fedeli) cioè i media del dopo il 1992 (da Repubblica al Corriere per parti decisive, fino oggi al Fatto ma anche a certi simmetrici giustizialismi di destra, per non parlare del devastante forcaiolismo via tv: i Santoro, i Lerner, i Crozza e così procedendo con la compagnia comico-sanguinaria ben arricchita dalle ghigliottine).

Questa situazione ha determinato una sovranità nazionale mezza stracciata tale per esempio da consentire di punire le nostre banche che hanno ricevuto un paio di miliardi di aiuti invece delle decine che sono toccati a quelle spagnole o tedesche. E’ evidente come Matteo Renzi in questo contesto apra qualche spazio (e sia benedetto per ciò) ma è altrettanto chiaro come spesso non abbia ben chiare le idee su come riempirlo e soprattutto non abbia forze adeguate che possono derivargli in una democrazia solo da un sistema politico fondato sulla sovranità popolare. Chi descrive il percorso renzista come una passeggiata bisognosa esclusivamente di applausi, è un poveretto che prepara catastrofi per tutti noi. Basta considerare come siano utilizzati casi come quello scozzese o catalano per destabilizzare Stati guidati da veri “capi” (nel caso dei monarchi) ben attenti alla difesa della loro sovranità nazionale, per capire quel che può succedere in un Paese dove tante inchieste giudiziarie sono usate a orologeria e hanno effetti devastanti.

In questo quadro i limiti di Napolitano con tutta la sua cultura, la sua eleganza, la sua intelligenza, la sua dignità anche solo negli ultimi anni sono enormi: così nell’avere consentito la liquidazione delle filiere patriottiche nel 2008-9 (Mori, Pollari, Bertolaso e tanti altri), nell’avere assistito senza iniziativa al massacro giudiziario di Berlusconi (persona certo scomposta in tanti suoi comportamenti però non illegali) da fine 2009 in poi, nell’avere costruito soluzioni dall’alto alle crisi politiche con i governi Monti e Lettino aiutando così la formazione della bolla grillesca. Proseguendo così pure con Renzi, emerso per la propria forza ma che avrebbe bisogno di una base popolare per essere veramente legittimato e dunque adeguatamente solido.

Forse meno eleganza ma più determinazione sarebbe stata veramente utile per la nostra nazione.


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