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Regionali e non solo, se Forza Italia e Ncd si arrendono al flop

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Ormai si dice che nell’era del renzismo ciò che non è “pop” fa “flop”: e che cosa c’è di meno “pop” del voto delle regionali del novembre 2014 e della primavera del 2015?

Così a occhio mi pare che sia Forza Italia sia Ncd si stiano arrendendo a questo stato di cose. Incapaci d’inventarsi una qualsiasi formula “pop” stanno per riconsegnare a novembre la Calabria a un vecchio militante ex Pci e a lasciare l’Emilia Romagna indisturbata al suo sonno postcomunista magari con qualche area di efficienza ma elemento decisivo della paludosità della società italiana.
E così a occhio una bella resa generalizzata si sta apprestando anche per le altre dieci regioni che voteranno nel 2015 nonché per comuni-simbolo come Venezia.

A mio avviso questo andazzo non è un danno solo per le varie componenti di centrodestra, non fa male solo a cittadini, e penso molto ai miei liguri, che sottoposti a lunghi domini come quello del Pci-Pds-Pd ne pagano le inefficienze innanzi tutto a forza di tasse e di decrescita, ma è un colpo anche per la nostra democrazia.

La questione italiana è prioritariamente una questione di crisi dello stato, come anche solo frettolosamente si constata con le vicende dell’interrogatorio palermitano di Giorgio Napolitano: d’altra parte un presidente che è così restio a difendere la democrazia con la democrazia cioè col voto popolare, prepara da sé -anche in perfetta buona fede e con buona volontà- gli esiti pericolosi che stimo vivendo.
Si consideri, poi, per tornare sul nostro terreno e su questo verificare la generalizzata “crisi dello stato”, come su venti regioni almeno sette negli ultimi anni siano state di fatto accompagnate al voto con le più disparate motivazioni: acquisto di mutande verdi, tentata vacanza, eccesso di pedaggi autostradali, abuso di spese nel baretto della stanza d’albergo e così via.

Questa è la situazione. Non induce certo a ottimismi sfrenati. Ma una cosa è evidente, non può essere risolta essenzialmente dall’alto da qualche maghetto Zurlì. Al di là dei limiti che le rivoluzioni passive hanno sempre, perché neutralizzano aree della società assai utili per un suo migliore sviluppo, questa impresa è ancora più impossibile in un’Italia segnata dal potere anarchico dei settori politicizzati della magistratura e da un sistema di pervasività di influenze straniere che ormai è quasi analogo a quello di una colonia verso i propri padroni.

Senza popolo, insomma, non ce la caveremo e così sprecare un’occasione in cui milioni di cittadini si esprimeranno, è un gravissimo errore.

Ma c’è un’alternativa via virtuosa? Sì e la indica lo stesso Silvio Berlusconi sul Giornale per il Comune di Milano: federare quel che c’è da Maurizio Lupi a Matteo Salvini, spingere perché entri in campo una personalità di rilievo della città e risolvere le competizioni interne a una coalizione che vuole governare con le primarie. E a ciò il leader di Forza Italia aggiunge la necessaria attenzione ai bisogni più minuti delle persone, non solo ai grandi scenari. Federare “quel che c’è”, mobilitare la società, pensare alle persone in carne di ossa: ecco una ricetta che può essere quasi magica e comunque opportuna per cercare un nuovo rapporto con gli elettori evitando sia il chiudersi del ceto politico in se stesso sia le furie iconoclastiche dei “socialcivilisti” che se va bene spostano a tra vent’anni una ripresa del centrodestra in una Italia che nel frattempo non si sa se avrà ancora qualche spazio di autonomia.

Io credo che quel che vale per Milano, avrebbe dovuto valere anche per il Piemonte (dove è andata – male – come è andata) per la Calabria e l’Emilia. Abbiamo qualche settimana per evitare che impostazioni sbagliate ed esclusivistiche prevalgano anche per le prossime dieci regioni. Diamoci da fare e costruiamo le regole e il clima per tenere primarie utili al centrodestra.


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