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Renzi, Copasir e le prossime sfide dei Servizi

L’articolo di Paolo Messa ha colto nel segno: l’incontro di Matteo Renzi con il Copasir non è stato un evento di routine. Non è una sorpresa. Tra i maggiori pregi di Matteo Renzi (per oggi i difetti li metto da parte) è che è dotato di una personalità molto, ma molto curiosa.

Sin da giovanissimo si è sempre interessato a capire “come gira il mondo”, a comprendere cosa fanno gli altri, a cogliere ed anticipare le novità. Questo dato caratteriale lo pone nelle condizioni migliori per utilizzare al meglio le attività dei nostri servizi di Intelligence.

Il processo di attuazione della riforma del 2007 ha finalmente dato piena unità al sistema. Oggi il Presidente del Consiglio – insieme all’Autorità delegata (il senatore Marco Minniti) – hanno la possibilità di esercitare la loro responsabilità politica in un contesto giuridico e organizzativo consolidato. In passato non era così; e non sempre i leader che si sono succeduti a Palzzo Chigi hanno creduto sino in fondo all’ utilità dei servizi.

Negli ultimi anni il clima è cambiato, i cittadini italiani hanno capito che i servizi di informazione della Repubblica costituiscono una istituzione cruciale per la loro sicurezza e per il futuro della Nazione. La rilevanza dell’intelligence non deriva solo dalla consapevolezza che il mondo è profondamente cambiato (questo lo sanno tutti), ma anche e soprattutto dal fatto che il mondo cambia in continuazione. Numerose sono le sfide inedite, a partire dalla rivoluzione digitale che invade ogni angolo della società contemporanea.

L’attività dei servizi si fonda notoriamente sulle cosiddette 3P: prevedere, prevenire, proteggere. A mio avviso la capacità di previsione è l’aspetto su cui occorre attirare maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica. È dalla capacità di previsione che nasce la voglia di futuro. In Italia, invece, la nozione di futuro è troppo spesso associata alla paura. Per contrastarla non bastano le battute, è essenziale prepararci a ciò che ci aspetta, con fiducia, ma avvalendosi di analisi serie e realistiche. Per farlo c’è bisogno di tanta ricerca. Solo un esempio: quanto sappiamo delle enormi conseguenze economiche e sociali prodotte dalla rivoluzione tecnologica in atto?

Negli Stati Uniti molte energie sono dedicate alle cosiddette attività di “Technology Intelligence” (TechInt). Su questo questo versante in Italia si potrebbe fare di più. Nelle università italiane l’area degli “Intelligence Studies” non è ancora sufficientemente sviluppata; ma scienziati, ingegneri e studiosi di scienze sociali potrebbero dare un contributo prezioso collaborando insieme. Così come sarebbe utile coinvolgere in progetti di ricerca congiunti le piccole e medie imprese HI Tech più avanzate. Un’ultima proposta: perché non dar vita a dottorati industriali dedicati alle politiche di interesse nazionale coinvolgendo le università e le imprese di rilevanza strategica?

La collaborazione tra DIS e Università italiane è decollata: è il momento giusto per compiere il salto di qualità.

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