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Benvenuti nella chimica del Mezzogiorno. Viaggio nel Sud sviluppista/7

Dall’inizio degli anni Duemila nelle regioni dell’Italia meridionale l’industria chimica, al pari di altri settori, ha conosciuto in larga parte delle sue specializzazioni merceologiche intensi processi di ristrutturazione e in molti casi di riposizionamento competitivo, che hanno investito sezioni specifiche degli apparati di produzione capital intensive insediatisi in diverse aree a partire dalla fine degli anni Quaranta del ’900, ed ancora oggi in grado di costituire – soprattutto con attività di upstream, petrolchimica, chimica di base, industria del vetro, gomma, materie plastiche e farmaceutica – alcuni dei settori minerari e manifatturieri trainanti, o almeno più significativi per numero di occupati e valore della produzione, in zone come quelle dell’Aquila, San Salvo (CH), Torre Annunziata (NA), Battipaglia (SA), Bari, Brindisi, Viggiano (PZ), Corleto Perticara (PZ), Catania, Priolo (SR), Augusta (SR), Gela (CL), Ragusa, Sarroch (CA), Porto Torres (SS).

Gli addetti del comparto, dagli operai ai tecnici, dai quadri al management, sono a qualificazione professionale medio-alta, mentre attività di ricerca soprattutto nella farmaceutica si svolgono in centri avanzati di multinazionali e in collaborazione con i Dipartimenti di chimica, scienze e tecnologie farmaceutiche e di biotecnologie di alcune Università e di altri centri scientifici come ad esempio il Cetma di Brindisi.

Notevole anche per il numero di aziende di piccole e medie dimensioni coinvolte – ma in qualche area anche grandi per le unità lavorative impiegate e i fatturati realizzati – è l’insieme di attività indotte nelle varie branche, svolte non solo da imprese locali o provenienti dal Centro Nord, ma a volte anche dall’estero. Tali società operano nell’engineering per progettazioni anche di dettaglio, nell’impiantistica, nei montaggi e nelle lavorazioni meccaniche, negli interventi manutentivi ordinari e straordinari, nei revamping e rifacimenti, nella costruzione di caldarerie, tubisterie, piping, flange, nelle forniture di packaging, macchine confezionatrici, pulizie industriali, nonché nei trasporti via mare, su gomma e su rotaia di greggio, prodotti raffinati, carburanti, virgin nafta, gpl, polietilene, polipropilene, pneumatici, principi attivi per farmaci, materie plastiche, films, cavi, vetri piani e contenitori in vetro, sabbie silicee, fertilizzanti, detersivi, vernici, resine epossidiche: trasporti di materie prime e beni finiti cui si aggiungono quelli del personale da e per i siti del suo impiego.

A tali attività devono poi aggiungersi varie tipologie di altri servizi – da quelli creditizi alla medicina del lavoro, dalle consulenze legali e fiscali a quelle notarili, dalle bonifiche alla vigilanza, dalla ristorazione aziendale alle forniture di indumenti da lavoro e safety shoes – che alimentano il funzionamento di supply chain di diversa tipologia e variamente diffuse nei grandi poli del comparto, o collegate anche a distanza alle esigenze di singole fabbriche. Inoltre in alcuni storici ‘poli’ meridionali dell’industria petrolchimica imponenti infrastrutture soprattutto portuali, funzionali al loro esercizio, furono realizzate all’atto dei primi insediamenti e sono tuttora asservite alle attività degli impianti maggiori, generando così ricavi per le Autorità portuali che le gestiscono.

Una vastissima problematica che caratterizza nell’Italia meridionale, ma anche in altre zone del Paese, le aree segnate dalla presenza dell’industria chimica – sia essa costituita dalla coltivazione di pozzi petroliferi e metaniferi o dalla petrolchimica e dalla chimica di base – riguarda l’inquinamento, le emissioni nocive nel sottosuolo, nei corpi idrici e in atmosfera e lo smaltimento e il trattamento depurativo di reflui e rifiuti solidi che il settore genera, con crescenti implicazioni di carattere ambientale e sanitario. Una problematica che, com’è intuibile, abbraccia già da lungo tempo complessi profili giuridici a livello comunitario, nazionale e regionale, con implicazioni tecnologiche, risvolti economici e non di rado anche penali, a causa della accresciuta e ormai radicata sensibilità ecologista che alimenta le sempre più insistite denunce di associazioni ambientaliste e di cittadinanza attiva contro l’inquinamento di lungo periodo, o gli eventi accidentali che accadono di tanto in tanto in singoli contesti produttivi. E in alcuni di essi le proteste e le campagne di alcuni movimenti ambientalisti sono giunte ormai da qualche anno a proporre persino la dismissione coatta di certi impianti, o almeno il blocco di taluni investimenti per il potenziamento di estrazioni di gas e petrolio e di attività manifatturiere connesse.

E’ un nodo questo che si sta facendo sempre più intricato, ma al riguardo è bene ribadire – se pure ve ne fosse bisogno – che se da un lato le industrie del settore devono rispettare le prescrizioni delle Aia-autorizzazioni integrate ambientali, adeguando i loro assetti impiantistici e di marcia alle Bat-Best available techniques e agli standard di sicurezza più avanzati, mitigando in tal modo o abbattendo la nocività delle emissioni e migliorando così le loro performance ambientali, dall’altro non è neppure ipotizzabile la perdita per ‘via giudiziaria’ di segmenti tuttora strategici del comparto chimico nazionale che costituiscono autentici pilastri del sistema manifatturiero italiano che deve conservare e rafforzare la sua attuale seconda posizione nel contesto industriale europeo alle spalle della Germania.

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