Skip to main content

Ello, come funziona l’anti-Facebook

Tutti (o quasi) siamo su Facebook, ma quanti di noi ne sono già stufi? Non ne possiamo fare a meno – i nostri amici e contatti sono lì, ma molte caratteristiche del social network numero uno al mondo ci infastidicono. Non a caso i siti anti-Facebook continuano periodicamente a spuntare sul web, suscitando grande entusiasmo. Unico problema: non conquistano mai il grande pubblico e finiscono, spesso, con un flop. Ora i riflettori sono puntati su Ello, che, per far concorrenza alla piattaforma di Mark Zuckerberg, si fonda su anonimato e assenza di pubblicità. Ce la farà a emergere come alternativa di successo?

TUTTI I FLOP DA MYSPACE IN POI

I precedenti non promettono bene. Per cominciare, Facebook ha decretato la fine di MySpace, il social network che impazzava prima dell’arrivo sul web del sito di Zuckerberg. MySpace fu acquisito nel 2005 da News Corp. per 580 milioni di dollari e a ottobre 2008 raggiunse il picco di utenti unici negli Usa: 76 milioni. L’arrivo di Facebook, accanto a una piattaforma tecnologica lenta e non abbastanza innovativa, ne causarono un rapido declino. Nel 2011, la società della pubblicità online Specific Media si è alleata con Justin Timberlake e altri partner per comprare e rilanciare MySpace (con un investimento di 35 milioni di dollari), dandogli un nuovo focus sulla musica e un’interfaccia più accattivante, ma i risultati non sono stati convincenti.

Altre esperienze non sono riuscite ad attecchire: pensiamo a Beboche Aol, la quale l’aveva acquisita per 850 milioni di dollari, è stata costretta a svendere nel 2010 per 10 milioni, a Path, che ha raccolto ben 77 milioni di dollari di finanziamenti ma faticato a trovare un’identità (condivisione di foto? scambio di brevi messaggi su mobile?) o Unthink, un altro social che nel 2011 si definiva l’anti-Facebook perché realizzava “una terra promessa che gli utenti possiedono e dove gli utenti possono costruire ciò che vogliono”, mentre  Facebook veniva bollato come qualcosa che “sembra una reggia ma ci fa tutti schiavi”.

Persino Google, con il suo Google Plus, non è riuscito a costruire un sito capace di rivaleggiare seriamente con Facebook: l’ultimo “Social Media Traffic Report” di Shareaholic definisce la piattaforma social di Big G “irrilevante”.

L’ASCESA DI ELLO

Non che questi insuccessi scoraggino nuovi tentativi. L’ultimo in ordine di tempo si chiama Ello: interfaccia minimalista e “cool”, si pone come alternativa priva di pubblicità ai colossi del social networking e di Internet. Lo scorso mese ha attratto molta attenzione perché, mentre Facebook potenziava la pubblicità e obbligava gli utenti a usare il vero nome, Ello ha aperto le iscrizioni (su invito) garantendo l’assenza di ads e la possibilità di usare pseudonimi, un’opzione che è piaciuta molto alla comunità Lgbt. Ello si è persino registrato come una “public benefit corporation”, una società di pubblica utilità, e questo per la legge Usa rende impossibile agli investitori chiedere che siano mostrate pubblicità o siano venduti i dati degli utenti a scopo di marketing. Ciononostante, agli investitori del mondo hitech la sua proposta piace: la società ha ottenuto 5,5 milioni di dollari di finanziamenti dai venture capitalist.

Dai 90 utenti del lancio (avvenuto ad agosto), il social, ancora in fase beta, è passato a registrare ogni ora 34.000 nuove richieste di ingresso. Nel suo manifesto, Ello promette di non trattare gli utenti come merce. “Ogni post che condividi, ogni amicizia che stringi, ogni link su cui clicchi viene registrato e convertito in dati, acquistati dagli inserzionisti”, si legge. “Noi crediamo che ci sia un modo migliore. Tu non sei un prodotto”.

“Mi piace l’approccio nuovo di Ello”, commenta Nathan Jurgenson, ricercatore dei social media della University of Maryland. “Ello attrae tanta attenzione proprio perché promette di usare una politica diversa nel mondo dei social media. Ci siamo resi conto che l’ascesa dei social media ha messo troppo potere nelle mani di pochissime persone e qui c’è l’energia per cambiare le cose, almeno in parte”.

IL TENTATIVO DI DIASPORA

L’idea dietro Ello ricorda quella di Diaspora, un altro esperimento, lanciato nel 2011, propagandato come l’anti-Facebook. Ispirati da una lezione sulla privacy su Internet, quattro studenti della New York University diedero vita al sito riuscendo a ottenere finanziamenti per 200.000 dollari e promettendo di creare un “social network decentralizzato” con software open-source. Gli utenti potevano creare i loro propri “server personali” e mantenere il controllo su tutti i dati che condividevano con gli amici. Al momento del lancio però il sistema venne attaccato da bachi e andò incontro a una serie di problemi di sicurezza. Nello stesso periodo Google annunciò il suo social network, altrettanto attento alle questione di privacy, e così Diaspora non è mai decollato. Esiste ancora, ma resta un sito di nicchia.

“L’idea dell’alternativa a Facebook è valida, le persone vogliono qualcosa di diverso da Facebook”, commenta Jim Dwyer, autore di un libro sulla storia di Diaspora (“More Awesome Than Money: Four Boys and Their Heroic Quest to Save Your Privacy From Facebook”), “ma il problema di Diaspora è stato che, come tutte le alternative a Facebook, sembra sempre una città fantasma. La forza di Facebook è che tutti gli amici sono lì – oltre al fatto che Facebook è riuscito a insinuarsi in una serie di altri siti Internet e di app mobili”.

Non per questo Facebook è invulnerabile, sostiene Dwyer: “Altre start-up potrebbero sfornare idee migliori, magari basate su gruppi sociali che esistono nel mondo reale e non solo su amici sparsi in tutto il mondo con cui spesso non si ha un vero contatto”.

IL SOCIAL NETWORK DEL VICINATO

In effetti un social network che fa questo esiste e ha ottenuto un certo successo negli Stati Uniti. Si chiama Nextdoor ed è un sito privato pensato per tenere in contatto tra loro i vicini di casa, condomini o residenti delle case nel quartiere ristretto.

Fondato nel 2010, con sede centrale a San Francisco, Nextdoor è un caso unico tra i vari social network. Per registrarsi bisogna autenticare la propria identità e indirizzo. Poi sul sito si postano messaggi, ma questi vengono fatti vedere solo a chi abita nelle immediate vicinanze e non ci sono opzioni simili alla condivisione o al retweet per far girare i messaggi nella rete. Tuttavia l’idea ha una sua utilità nella vita delle comunità e il sito ha già raggiunto 40.000 quartieri americani, circa uno su quattro. L’attrattiva di Nextdoor è che collega persone che sono fisicamente vicine nella vita reale e con cui si scambiano messaggi di pubblica utilità: informazioni sulla raccolta differenziata, allarmi su furti nel quartiere, lavori in corso su una strada, e così via. La società ha messo insieme poco più di 100 milioni di dollari dal venture capital ma per ora non pensa a generare guadagno, solo a soddisfare le richieste dei suoi utenti, dice il Ceo Nirav Tolia. In seguito il business model potrebbe crearsi con l’aggiunta di una funzionalità di marketplace per la compra-vendita di oggetti usati all’interno del quartiere o la pubblicazione di piccoli annunci per chi cerca lavoro (come baby-sitter, idraulico, ecc.).

CI SARA’ MAI UN ANTI-FACEBOOK?

E’ anche possibile che l’idea stessa dell’ “anti-Facebook”, per quanto attraente, sia errata. Secondo Bradford Cross, co-fondatore e Ceo della piattaforma social di news Prismatic, le start-up del mondo social devono lottare per far capire che cosa sono e che cosa fanno. “A nessuno interessa che siano diverse da Facebook”, sostiene Cross. “Alle persone interessa che un sito soddisfi delle loro esigenze. Facebook risponde alla profonda necessità umana di restare in contatto con gli altri, specialmente con le persone che sono lontane”. I siti rivali si sono dovuti ritagliare delle nicchie, ma per Cross non sono riusciti a capire quale esigenza dell’utente potevano soddisfare, come hanno fatto invece con successo Instagram, LinkedIn e Pinterest.

“Non si può battere Facebook sul suo stesso terreno”, continua Cross, “sarebbe come voler rivaleggiare con Google nella ricerca”. Facebook ha un vantaggio acquisito enorme e tutte le risorse per superare i rivali o per comprarli (come accaduto per Instagram e WhatsApp).

Nell’attesa dunque che arrivi davvero un anti-Facebook, al momento i social network alternativi servono più ad esprimere elementi di insoddisfazione nel pubblico e a spingere Facebook a cambiare le sue impostazioni: Diaspora e Google Plus l’hanno per esempio costretto ad essere più attento alla privacy e il successo di Ello lo ha già spinto ad ammorbidire la sua policy sull’uso del nome vero. Inoltre, lo stesso giorno in cui Ello ha annunciato il suo finanziamento dal venture capital, Facebook ha lanciato la nuova app Rooms dove gli utenti possono usare pseudonomi e creare i loro forum di discussione, un trend che la rivista Wired ha già definito il “futuro dell’anonimato su Internet”.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter