Ci vorrà ancora un po’ di tempo per raggiungere un accordo completo e definitivo sul programma nucleare iraniano. Teheran e il gruppo dei cinque più uno – Cina, Usa, Francia, Russia, Regno Unito e Germania – hanno fallito lo sforzo diplomatico per un’intesa entro stasera, dandosi invece altri sette mesi di tempo per trovare un accordo.
I partecipanti al negoziato, cercheranno un’intesa di massima entro il 1 marzo e una di dettaglio entro il 1 luglio, per affrontare le numerose questioni ancora da discutere e risolvere.
Una di queste attiene alle conseguenze di un accordo, che avrebbe una portata importantissima e lascerebbe sul campo soddisfatti e scontenti.
CHI TEME L’ACCORDO
In cima alla lista di chi teme un accordo c’è l’Arabia Saudita, rivale regionale dell’Iran. Le due nazioni, la prima sunnita e la seconda sciita, sono su fronti opposti in quasi tutti i conflitti dell’area, dalla Siria al Bahrein passando per lo Yemen. La maggiore preoccupazione di Riyad – scrive Npr – è che un’intesa porti a una maggiore libertà d’azione per la Repubblica islamica. Nell’ottica saudita, l’Iran ha già una posizione dominante in Irak, Libano, e puntella un alleato di lunga data come Bashar al-Assad, in Siria. Risolvere l’annosa questione nucleare potrebbe rafforzarla maggiormente. Dopo anni di relazioni complicate tra Washington e Teheran, l’apertura di un canale di dialogo tra i due Paesi “sconvolge” Riyad, che cerca di ripensare strategia e alleanze, per non perdere influenza.
CHI NE TRARREBBE GIOVAMENTO
A tifare per un accordo tra Occidente e Teheran, spiega Limes, è il Golfo non saudita. “Oman, Qatar ed Emirati Arabi Uniti avrebbero molto da guadagnare (non solo economicamente) se un accordo sul dossier nucleare comportasse la fine delle sanzioni contro Teheran“. In ballo ci sono intese energetiche, commerciali, industriali, politiche e, non ultime, di sicurezza regionale – che si spingerebbero sino all’India.
“L’obiettivo iraniano, sottolineato più volte dal presidente Rouhani – si legge sulla rivista di geopolitica –, è che l’intensificarsi delle relazioni economiche possa preparare la strada per una distensione politica definitiva e per l’inserimento dell’Iran come interlocutore legittimo nel dibattito sulla sicurezza regionale“.
LE ALTRE POSIZIONI
C’è chi rema contro l’accordo, rimarca Alberto Negri sul Sole 24 Ore di ieri, anche nei principali Paesi coinvolti: in primo luogo “i falchi del Congresso e l’ala dura dei Pasdaran iraniani“. Inoltre, Mosca si dichiara favorevole, ma sa bene che un eventuale fallimento del negoziato spingerebbe Teheran ancora di più tra le sue braccia. Parigi sostiene le posizioni saudite, prosegue Negri, “per continuare a lucrare sui contratti di armamenti nel Golfo“. Mentre Israele considera Teheran “una minaccia vitale alla sua esistenza“. E l’Italia? A Roma un’intesa “farebbe gioco, perché il mercato iraniano è sempre stato uno dei più promettenti”, ma anche perché riaprirebbe “spazi di manovra” per la diplomazia della Penisola.
IL DILEMMA ISIS
Fare fronte comune su una minaccia sentita da tutti, come lo Stato Islamico, e sull’eventualità che la barbarie del Califfato possa insinuarsi nel Golfo, potrebbe essere l’inizio di un cambiamento concreto. Anche se, avverte Brian Katulis del Center for American Progress, non è detto che sia un bene: un accordo potrebbe rendere ancora più difficile contrastare i terroristi di al-Baghdadi, perché aumenterebbe la diffidenza saudita nella già fragile coalizione, a guida americana, che combatte l’Isis, e alla quale finora Teheran non partecipa. In caso di successo del negoziato nucleare, un nuovo rompicapo regionale è già pronto.