«Banca Etica effettua una valutazione etica sugli investimenti, ma non credo (mi sembra impensabile sotto ogni punto di vista) possa effettuare una valutazione etica sugli investitori e i correntisti». È il commento di Caterina, leggibile sul blog di Banca Etica, e inviato lo scorso 19 novembre, poche ore dopo la pubblicazione dei redditi di Beppe Grillo da parte dei giornali. I quali, notizia tra le notizie, hanno dato risalto al fatto che il leader del Movimento 5 stelle ha in portafoglio 10 azioni dell’istituto padovano.
Il commento di Caterina è stato postato in calce alla nota ufficiale con la quale Banca Etica ha preso una posizione sulla vicenda. O meglio, ha dichiarato di non prendere una posizione nello specifico («un tema che non ci sentiamo di commentare»), ritenendo invece di sottolineare come gli azionisti della banca, anche nel mondo politico, siano molteplici, e preferendo dare visibilità alle migliaia di soci «che permettono, per ogni euro di capitale sociale, di erogare 12 euro di finanziamenti a imprese sociali che contribuiscono concretamente al cambiamento sostenibile del nostro Paese». Nel commento di Banca Etica c’è anche una sorta di “presa d’atto” del comportamento dei giornali: «Capiamo perfettamente che per la stampa la partecipazione azionaria in Banca Etica di una persona famosa possa fare notizia». Messa in questo modo, l’affermazione non pare un tributo al lavoro giornalistico. Appare quasi una resa alla superficialità dei media.
Il post di Caterina, invece, è lo spunto per un ragionamento opposto al non expedit della banca. Un ragionamento che, probabilmente, è stato sino a oggi sottovalutato. E che suggerisce di chiedersi chi sono questi investitori etici. Chi compra le azioni di un istituto di credito come Banca Etica? Allargando il tiro: chi sottoscrive i social bond che iniziano a moltiplicarsi in Italia? In tre anni, Ubi Banca ne ha emessi per oltre 500 milioni di euro. Proprio ieri, Deutsche Bank ha presentato i progetti che potranno essere realizzati con il suo primo social bond.
Ci sono almeno tre ragioni per cominciare a porsi delle domande sui propri sottoscrittori.
La prima è a favore degli emittenti. E l’ha ben sottolineata sempre Caterina: «La questione vera – ha scritto -, su cui mi sembra potrei chiedere conto a Banca Etica, è la popolarità che molti personaggi pubblici ottengono a proprio vantaggio pubblicizzando la loro adesione come soci o semplici correntisti. Banca Etica non è una “lavatrice” per i curricola». In altre parole, gli emittenti di titoli etici (azioni della banca padovana o social bond) dovrebbero prendere consapevolezza dell’opportunità di greenwashing che offrono. Per giunta, alimentando un equivoco che sa di alibi: così come il fare-finanza-responsabile non è solo proporre titoli etici al mercato, altrettanto il fare-finanza-responsabile non è solo comprare qualche titolo etico.
La seconda ragione è a favore del mercato Sri (sustainable and responsible investing). Avviare il monitoraggio degli investitori in titoli etici consentirebbe di delinearne le caratteristiche: sesso, età, titolo di studio, reddito medio, ma, soprattutto, valori, disponibilità e ambizioni in ambito di finanza responsabile. Una simile operazione, individuando la domanda, favorirebbe la crescita dell’offerta di prodotti Sri, nonché lo sviluppo di una community importante. Questa aggregazione di forze attorno a nuovi modelli di finanza potrebbe poi condurre a una sorta di mercato di negoziazione di questi titoli, cosa che aumenterebbe la liquidità e imporrebbe la trasparenza. Nonché aiuterebbe la difficile affermazione dei veri Social Impact Bond.
La terza ragione è a favore degli investitori (ma non necessariamente in conflitto di interesse con gli emittenti). Un osservatorio sui sottoscrittori evidenzierebbe, infatti, anche il grado di “ignoranza” consapevole o inconsapevole di chi mette i propri risparmi in un titolo etico. Ovvero, porterebbe alla luce se e quanto l’investitore è in grado di comprendere il prodotto finanziario offerto, e se e quanto questo prodotto corrisponda agli ideali che l’hanno spinto a investire. A questo proposito, è interessante il suggerimento lanciato da Gian Franco Giannini Guazzugli, in qualità di vicepresidente di Anasf (Associazione nazionale dei promotori finanziari), in occasione del convegno di ETicaNews dello scorso 6 novembre. «Visto che è in atto – ha detto rivolgendosi a Consob – la ridefinizione dei questionari per la profilatura dei clienti, perché non inserire anche domande relative alla propensione a investimenti sociali?».
Infine, ma non ultima, la riflessione sulla stampa. Oggi, ha probabilmente ragione Banca Etica (se è corretto interpretare in tal senso il tono della sua nota ufficiale), nel prendere come “giocoforza” l’atteggiamento spettacolarista dei media. Tuttavia, anche su questo fronte è importante cambiare passo, cercando di porsi verso i giornali come ci si pone verso i propri investitori. Educando e coinvolgendo. Anche i media possono imparare un nuovo modello di relazione con le imprese. Anche i giornali possono trasformarsi in importanti stakeholder.
E, laddove oggi si parla di azionariato attivo, presto si potrà parlare di “giornalismo attivo”.