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Benvenuti nella chimica del Mezzogiorno. Viaggio nel Sud sviluppista/8

I caratteri del riposizionamento già compiuto, in corso o programmato sono stati molteplici ed hanno riguardato in particolare: a) il potenziamento delle capacità estrattive in Basilicata (Eni in Val d’Agri e Total nella Valle del Sauro); b) le innovazioni di prodotti e di processi (Versalis a Priolo e Porto Torres); c) la riduzione dei costi di trasformazione, ma anche un nuovo mix di pneumatici con investimenti sulle linee (Bridgestone a Bari); d) l’ammodernamento e l’ampliamento di capacità di industrie farmaceutiche (Merck Serono a Bari e Sanofi a Brindisi), di aziende vetrarie, (O-I,Owens Illinos a Bari e a Castellana Grotte nella sua provincia); e) l’ingresso con quote di minoranza di soci esteri in società italiane controllanti altre industrie vetrarie (i russi della GlassWall nella Sangalli a Manfredonia), o una grande raffineria a Sarroch in Sardegna (i russi della Rosneft nella Saras); f) la totale cessione di proprietà del maggior impianto di raffinazione del Paese (vendita dalla Erg alla russa Lukoil della Isab a Priolo). Insomma, alcune sezioni territoriali e settoriali non marginali della chimica nell’Italia del Sud sono state interessate negli ultimi anni, ed anche in questa prima metà del 2014, da mutamenti rilevanti intervenuti a vari livelli che hanno rappresentato la risposta dei gruppi di controllo e del management aziendale alle crescenti difficoltà incontrate da società e da loro singoli siti, investiti dalla dura recessione avviatasi dall’ultimo trimestre del 2008 e protrattasi – dopo la breve ripresa del periodo 2010 – 1° semestre 2011 – sino alla fine del 2013. In alcuni dei maggiori stabilimenti e nei distretti petroliferi prima ricordati sono stati completati, sono in corso o partiranno massicci investimenti.

Iniziamo una rapida panoramica per singole branche dell’industria di settore.

1.1 – Gli impianti per il refining

Sono sei le raffinerie, pari al 60% della capacità di lavorazione italiana, insediate tuttora nel Sud, fra le quali le tre maggiori del Paese che risultano anche fra le più grandi d’Europa per dimensione e complessità, così distribuite:
– in Sicilia nei poli contigui di Priolo e Augusta (SR) gli impianti della Isab (969) , controllata ormai al 100% dalla russa Lukoil nella prima area, e della Exxon nella seconda (619) , mentre a Gela (CL) opera quello dell’Eni Refining&Marketing (1.115, più 700 indiretti) , e a Milazzo (ME) la Ram (588, più 300 indiretti) , joint-venture fra Eni e Kuwait Petroleum;
– in Sardegna a Sarroch (CA) è in esercizio l’imponente raffineria della Saras (1.118, più 7.000 indiretti totali) ;
– a Taranto è localizzato un altro sito dell’Eni (460, più 500 indiretti) .

Quelle di Isab, Saras e Ram sono nell’ordine le prime 3 in Italia per capacità. Fra le aziende impiantistiche sorte nel polo Priolo-Augusta – ove operano circa 3.200 unità nell’indotto dell’industria di base – spicca la Irem con oltre 800 occupati, affermatasi anche a livello internazionale.

In Italia – come ha evidenziato nel giugno di quest’anno all’assemblea dell’Unione petrolifera il suo presidente Alessandro Gilotti – dal 2009 al 2013 l’intero comparto ha scontato perdite per 7 miliardi, mentre dalle 16 raffinerie del ’99 si è passati alle 12 attuali: una diminuzione di capacità – imposta da una pesante caduta della domanda e da un eccesso di prodotto invenduto a livello europeo – che non ha riguardato almeno sino a giugno del 2014 gli impianti localizzati nel Sud, anch’essi però in marcia al di sotto del loro potenziale, con incidenza negativa sui margini di redditività. E così si è inserita proprio in questo scenario la decisione annunciata ai Sindacati lo scorso 8 luglio dai vertici dell’Eni di voler proseguire il fermo della raffineria di Gela , di congelare l’investimento previstovi di 700 milioni, insieme alla necessità di puntare ad una ristrutturazione selettiva delle sue capacità in Italia – con la possibile dismissione anche dei siti di minori dimensioni di Taranto, Livorno e Porto Marghera – lasciando in marcia solo gli impianti maggiori di Sannazzaro (PV) e della Ram a Milazzo. L’Unione Petrolifera ha paventato così, in assenza di urgenti ed organici interventi governativi, rischi per la stessa sopravvivenza di tutti gli impianti del Paese – che comunque gli hanno assicurato sinora l’autosufficienza per i prodotti raffinati ed elevate esportazioni soprattutto da Sicilia e Sardegna, pur se in calo dalle due isole nel 2013 – ed ha chiesto riduzioni del costo dell’energia, pari al 30% di quelli operativi, un minore carico fiscale, la moratoria per le normative in discussione sull’ambientalizzazione dei vari siti, finanziamenti strutturali per il loro ammodernamento con i contratti di sviluppo, la razionalizzazione della rete distributiva e un pieno sfruttamento delle riserve nazionali già accertate di petrolio e metano, superando finalmente i blocchi locali alle estrazioni in terra e in mare.

1.2 – Gli steam cracker della Versalis, innovazioni in corso e impianti a valle

Tre dei quattro grandi steam cracker posseduti in Italia dalla Versalis (ex Polimeri)-Eni, sono localizzati a Brindisi (510, più 273 indiretti), Priolo (505) , il più grande d’Europa, e Porto Torres (566, più 600 indiretti) ove con la newco Matrica, joint-venture con Novamont, Versalis sta incominciando a produrre chimica verde, ovvero biomonomeri e biopolimeri. A Brindisi ‘a valle’ di quello della Versalis è in esercizio anche un impianto della statunitense LyondellBasell (160 unità, più 80 indiretti) che produce resine di polipropilene . La Versalis ha altri due siti produttivi, l’uno a Sarroch (400) e l’altro a Ragusa (125) .

1.3 – L’upstream nell’Italia meridionale fra estrazioni in corso e potenzialità di sviluppo osteggiate sui territori

Le attività estrattive sono in corso in qualche regione del Sud sin dalla seconda degli anni Cinquanta del secolo scorso, quando primi giacimenti petroliferi furono scoperti al largo della Sicilia sudoccidentale, mentre qualche anno più tardi in Basilicata nel Materano si avviò nella Valle del Basento l’estrazione di metano e nuovi insediamenti industriali insediatisi in loco ne consentirono un impiego massiccio.
Nel 2012 il costo delle importazioni energetiche ha gravato sulla bilancia commerciale nazionale per 65 miliardi di euro, sottraendo risorse alla formazione della ricchezza nazionale per una percentuale del 4,1%, ridottasi nel 2013 al 3,6% per i minori volumi importati, soprattutto a causa della recessione. Ridurre le importazioni, valorizzando le riserve nazionali di idrocarburi ed aumentando così la produzione interna di petrolio e metano, consentirebbe di destinare i minori esborsi per le importazioni ad altri investimenti e all’occupazione. L’attività di esplorazione in Italia è rimasta bloccata per circa 10 anni e tuttora si manifestano forti resistenze da parte di movimenti ambientalisti a riavviarla in diverse aree su terraferma o in acque prospicienti alcune regioni, ove primi sondaggi geognostici hanno dato esiti incoraggianti consentendo di stimare in 50 miliardi di euro, nell’arco di dieci anni, la possibile riduzione delle importazioni e in 25 miliardi l’aumento delle entrate fiscali dello Stato.

I pozzi petroliferi in Basilicata sono i maggiori on-shore d’Europa. In Val d’Agri a Viggiano (PZ) estrae già da anni l’Eni, con un’occupazione nel 2013 di 348 addetti diretti e 2.533 indiretti , avviando il primo trattamento del greggio nel locale Centro oli, poi trasferito con pipeline alla raffineria di Taranto. Invece, nel giacimento Tempa Rossa a Corleto Perticara (PZ), l’estrazione inizierà nel 2016 ad opera di Total e Shell , con altra occupazione per l’esercizio di un secondo Centro Oli già in costruzione. A tale giacimento inoltre è legata la realizzazione nell’area della raffineria dell’Eni a Taranto di due serbatoi da 180mila metri cubi per stoccarvi il greggio proveniente con oleodotto da quel bacino e destinato all’esportazione, ampliando anche il pontile dell’impianto e supportare così l’aumento del traffico di navi da 45 a 140 l’anno.

Sempre nell’Italia meridionale altre attività estrattive – con pozzi sulla terraferma e con piattaforme off-shore – sono in corso in Abruzzo lungo le coste delle province di Teramo, Pescara e Chieti, in Puglia al largo di Brindisi sul campo ‘Aquila’ e in Sicilia nei territori e nelle acque delle province di Ragusa (Pozzallo) e Caltanisetta (Gela). La Sicilia occupa il secondo posto tra le regioni italiane dopo la Basilicata per produzione di greggio; l’attività di estrazione vi impiega circa 300 addetti diretti, mentre per il solo petrolio pompato nel Ragusano si è stimato nel 2012 un valore di 170 milioni di euro .

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