L’accordo per ridurre le emissioni di gas serra, annunciato a Pechino da Usa e Cina, soddisfa apparentemente entrambe le parti. Consente da un lato, a Barack Obama, che l’ha definito “storico“, di incassare un successo internazionale che gli permette di far dimenticare per un po’ la sconfitta dei democratici alle elezioni midterm dello scorso 4 novembre. Dall’altro, aiuta la Cina a vendere al mondo una nuova immagine di potenza responsabile, che guarda al futuro del pianeta e non solo alle proprie esportazioni.
I DETTAGLI DELL’ACCORDO
L’intesa – , in vista di un accordo globale il prossimo anno, a Parigi, durante la conferenza sul clima dell’Onu, che ha tra gli obiettivi quello di rinnovare il protocollo di Kyoto -, prevede che Washington tagli la produzione di Co2 fra il 26% e il 28% entro il 2025, rispetto ai livelli registrati nel 2005. La Cina s’impegna invece a raggiungere il picco delle medesime emissioni “attorno al 2030” e ad aumentare, entro la stessa data, la percentuale di energia prodotta non da combustibili fossili al 20% del totale del proprio mix energetico. Il patto potrebbe avere, secondo esperti ed ambientalisti come Li Shuo, Senior Climate and Energy Campaigner di GreenPeace East Asia, “importanti effetti positivi” nel contrasto all’inquinamento, al riscaldamento terrestre e al cambiamento climatico.
LE CRITICHE REPUBBLICANE
L’accordo, però, non convince tutti. Una prima reazione, scontata, è giunta dai repubblicani americani, freschi di maggioranza nelle due Camere del Congresso. Per il leader della maggioranza del Gop al Senato, Mitch McConnell, l’accordo sino-statunitense (qui l’annuncio completo della Casa Bianca) è un “progetto irrealistico, che il presidente scaricherà al suo successore, comporterà di certo prezzi più alti per l’energia e molti meno posti di lavoro“.
Su The Hill, McConnell entra poi nel merito politico della critica repubblicana, secondo la quale, la guerra di Obama contro il carbone è “ideologica” e invece che aiutare il proprio elettorato, scaricherà “la pressione sulle famiglie della classe media e i minatori in difficoltà“. Il Gop non risparmia nemmeno un affondo sul programma, che lascia intendere che le larghe intese, quasi obbligate visto l’esito delle midterm elections, siano invero piuttosto lontane: “È il momento di maggiore ascolto e di meno burocrazia che distrugge l’occupazione; alleggerire il peso creato dalle norme dall’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale, continuerà ad essere una priorità“, assieme a Keystone XL, il maxi-oledotto che collegherà il Canada al Golfo del Texas.
I DUBBI SULLA CINA
Dalle colonne dell’Atlantic, James Fallows punta invece l’attenzione sulla politica interna cinese, chiedendosi se, in fondo, l’accordo tra Washington e Pechino sarà rivoluzionario come promette di essere. La Cina, spiega il giornalista e commentatore americano, fronteggia una delle crisi ambientali più forti di sempre, con un inquinamento altissimo nelle città e nelle campagne e un forte tasso di malati per tumore. Di questo solo una parte è determinato dall’uso di energie non pulite, ma coinvolge anche lo smog e il modello di società che il Partito comunista ha costruito in questi anni. Il fatto che Pechino abbia, nel giro di pochissimo tempo, cambiato la propria opinione, prima negando l’emergenza e ora dichiarando di volerla combattere, rappresenta forse il sintomo che i decisori cinesi si preoccupino più del calo di consenso interno, che non del climate change. Ciò, sottolinea Fallows, potrebbe anche andar bene, anche se non bisogna dimenticare che il presidente cinese, Xi Jinping, atteso come un grande riformatore, ha cambiato in verità ben poco finora. Per questo, conclude l’Atlantic, festeggiare per un’intesa che potrebbe solo rivelarsi tattica, è prematuro.
LO SGUARDO DEGLI INVESTITORI
A guardare con estrema fiducia e qualche speranza all’accordo sono, invece, investitori e imprese che operano nelle settore delle energie rinnovabili e green, che intravedono affari importanti. “È prevedibile un forte incremento degli investimenti su rinnovabili ed efficienza in tutto il mondo. Il solo impegno della Cina implica la realizzazione ogni anno di 60mila megawatt (la metà della potenza elettrica totale installata in Italia) senza emissioni di Co2, prevalentemente da fonti rinnovabili“, spiega Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free, Fonti rinnovabili ed efficienza energetica che raggruppa oltre 30 associazioni del settore.
(credits: Reuters)