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Ecco chi (non) vuole Amato al Quirinale

Più che una candidatura o una sponsorizzazione, o semplicemente un auspicio, con i tempi che corrono dev’essere stata avvertita da Giuliano Amato come una tegola la disponibilità di Silvio Berlusconi, annunciata dal Corriere della Sera, a farlo votare per il Quirinale dai parlamentari di Forza Italia, quando si aprirà davvero nell’aula di Montecitorio la giostra ormai vicina per la successione a Giorgio Napolitano.

Già una volta, nella primavera del 1999, la sponsorizzazione di Berlusconi, anche allora all’opposizione, costò ad Amato il fallimento della corsa al Quirinale, alla scadenza del mandato presidenziale di Oscar Luigi Scalfaro. Che pure nel 1992, dopo le esperienze governative di sottosegretario di Bettino Craxi a Palazzo Chigi, di vice presidente del Consiglio con Giovanni Goria e di ministro del Tesoro con Ciriaco De Mita, lo aveva promosso presidente del Consiglio, ma per ragioni di forza maggiore, essendo naufragata per i rumori giudiziari di Tangentopoli l’intesa per un incarico a Craxi già raggiunta fra Dc e Psi.

Il naufragio dei socialisti e del suo stesso governo, dimessosi dopo il referendum elettorale del 1993 ma già ferito a morte dall’aborto dei provvedimenti varati per la cosiddetta uscita politica da Tangentopoli, avevano messo Amato nell’angolo. Dal quale però Massimo D’Alema lo aveva tirato fuori dopo pochi anni, prima cercando di associarlo alla seconda riedizione del Pci – la cosiddetta Cosa 2 – e poi nominandolo, nel 1998, ministro delle riforme istituzionali del suo primo governo, succeduto a quello di Romano Prodi.

Era proprio in veste di ministro delle riforme nel governo D’Alema che Amato si trovò iscritto quasi d’ufficio nella lista dei candidati al Quirinale nel 1999. Ma l’appoggio di D’Alema si rivelò subito insufficiente. Fra i post-comunisti erano ancora molti quelli che non gli perdonavano i rapporti con Craxi, per quanto interrotti dallo stesso Craxi con dichiarazioni e note velenose da Hammamet, dove l’ormai ex segretario socialista si era rifugiato e sarebbe morto nel 2000. Fra quelle note e dichiarazioni c’era anche la definizione di Amato come “professionista a contratto”.

A sabotare nell’ex Pci la candidatura di Amato al Quirinale si mise d’impegno Walter Veltroni, succeduto a D’Alema alla segreteria dei Democratici di sinistra, come i post-comunisti avevano deciso di chiamarsi non volendo prendere anche in Italia il nome di socialisti assunto invece a livello internazionale.

Avuta conferma della disponibilità di Berlusconi, dall’opposizione, ad appoggiare Amato, lo scaltrissimo Veltroni fece un’operazione di aggiramento alla quale il leader del centrodestra non era preparato. In particolare, Veltroni coltivò e acquisì la disponibilità di due alleati – allora – di Berlusconi a preferire a quella di Amato un’altra candidatura: Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d’Italia, già presidente del Consiglio, dopo la caduta del primo governo di Amato, ed allora ministro del Tesoro, ancora sofferente per lo sgarbo procuratogli da D’Alema l’anno prima, quando si vide offrire proprio da lui la successione a Prodi, a Palazzo Chigi, ed apprese solo dalla televisione che era stato lo stesso D’Alema, con i buoni uffici di Francesco Cossiga, a farsi nominare presidente del Consiglio dal capo dello Stato. Scherzi da preti, si sarebbe detto ai tempi, del resto non lontani, della Dc.

All’improvvisa e inattesa ascesa di Ciampi al Quirinale, D’Alema rimediò promuovendo Amato da ministro, senza portafoglio, delle riforme istituzionali a ministro del Tesoro, con il portafoglio più grosso di tutti. E fu solo l’inizio, perché l’anno dopo, naufragati in pochi mesi il suo primo e il suo secondo governo, D’Alema passò la staffetta di Palazzo Chigi proprio ad Amato. Che alle elezioni politiche ordinarie del 2001, destinate ad essere vinte da Berlusconi, sarebbe anche diventato nelle urne il candidato leader del cosiddetto centrosinistra se Veltroni non gli si fosse messo di nuovo di traverso preferendogli Francesco Rutelli.

L’acqua passata da allora sotto i ponti della politica è tanta. Ed ha bagnato anche le polveri di Amato, per quanto i suoi estimatori altolocati siano aumentati: da Giorgio Napolitano, che lo vedrebbe volentieri al suo posto e lo ha intanto nominato giudice costituzionale, dopo averne inutilmente tentato il ritorno a Palazzo Chigi l’anno scorso, a Carlo De Benedetti, che una volta tanto si è trovato recentemente d’accordo con Berlusconi nel riconoscergli il “profilo giusto” per salire sul colle più alto di Roma. Ma, a parte Napolitano, nel frattempo tornato senatore a vita, né Berlusconi né De Benedetti potranno votare per Amato perché semplicemente non ne avranno i titoli costituzionali, diversamente da Ratti, Scilipoti ed altri. E il fantasma di Craxi continuerà ad aleggiare contro di lui, forse con la complicità di Matteo Renzi.


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