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Elogio della nota politica alla Stefano Folli

C’è uno, quassù, che vaga sulle nuvole ostentando con uno strano cartellino spiegazzato sul petto il campo di lavoro percorso per una sessantina d’anni laggiù: stampa. Mi spiega, vedendomi incuriosito, di non riuscire a liberarsi dell’incubo, vissuto per un bel po’ della sua esperienza terrena, di essere scambiato per un suo omonimo. Che, diversamente da lui, produceva petrolio per conto dello Stato e non parole per conto proprio. E si vantava di usare i partiti come i taxi, a tariffa, per far fare alla politica quello che voleva lui. Una politica che il suo omonimo peraltro non condivideva e che, volente o nolente, raccontava ai lettori occupandosi più del conducenti dei taxi che del loro comune e per niente occasionale passeggero.

In verità, quella strana vicenda confusa tra omonimia e scambio di ruoli finì nel 1962, quando uno dei due, il petroliere, morì in uno strano, assai strano incidente d’aereo. E l’altro proseguì la sua attività di giornalista, raggiungendo anche posizioni che voi laggiù chiamate apicali. Fu infatti anche direttore, a Firenze, di un giornale allora importante, dove si poteva aspirare alla direzione del giornale italiano più diffuso di tutti, che si stampava a Milano.

Ma anche quando rimase solo a chiamarsi e a firmarsi Enrico Mattei, egli continuò a risentire di quel complesso o timore di scambio, tanto da portarselo addosso, ripeto, persino quassù, dove tutti potremmo e dovremmo sentirci insieme superiori e uguali, in una versione celestiale del comunismo tragicamente tentato e miseramente fallito laggiù.

Il mio compagno di nuvole sta soffrendo in questi giorni per la denigrazione, appena tentata sotto le nuvole, di quella che fu la sua specialità nella professione: il racconto della politica con un articolo chiamato con poca fantasia “pastone” perché vi confluiva un po’ tutto ciò che in giornata era accaduto nei partiti e nelle loro correnti o, più in generale, nei palazzi del potere. Un pastone via via accorciato negli anni, o spezzettato in più parti, ciascuna delle quali dedicata ad un singolo argomento, o promosso a più alto o intrigante livello con nomi tipo “la nota”, “il punto”, “il retroscena”.

Nella versione, in particolare, del “punto” Mattei ha avvertito la liquidazione, secondo lui ingenerosa, della sua specialità reclamata nei giorni scorsi dal direttore del Sole 24 Ore annunciando come una liberazione il trasferimento nelle pagine del giornale La Repubblica della nota politica di Stefano Folli. Che sarebbe destinata solo a 1500 lettori, secondo un’autocertificazione ironica di un altro notista, Enzo Forcella, risalente al 1959: un’autocertificazione presa sul serio dal direttore del Sole 24 Ore, come se fossero stati veramente venticinque i lettori ai quali Alessandro Manzoni scrisse di rivolgersi in apertura di quel suo romanzo considerato storico anche quassù: I promessi sposi.

Ad aggravare la delusione di Mattei contribuisce la convinzione di avere in qualche modo contribuito alla formazione culturale e professionale di Folli, misuratosi con la politica negli anni giovanili leggendo anche i suoi articoli, e magari condividendone buona parte, al netto di certi eccessi ai quali Mattei riconosce di avere lui ceduto spesso, prendendo persino a male parole i politici dai quali gli capitava di dissentire. Con Aldo Moro, per esempio, egli ammette di essere stato persino e ingiustamente “insolente” criticandone la guida dei primi governi di centro-sinistra, negli anni Sessanta, al punto tale da dubitare delle sue capacità virili.

Folli queste cose – dice Mattei – non solo non le scriverebbe ma neppure le penserebbe di quei politici dai quali gli capita di dissentire nei passaggi abitualmente felpati della sua nota, o punto. Felpati, per esempio, come quelli appena dedicati con uno scoop, nella sua nuova collocazione di testata, a quel misto di stanchezza e delusione con cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si accinge a dimettersi per accorciare la già breve durata assegnata spontaneamente al suo secondo mandato al Quirinale.

Della nota politica, secondo Mattei, proprio come dimostra questo scoop di Folli, i giornali italiani avrebbero ancora bisogno, eccome, purché restituita alle sue originarie finalità e non contraffatta da articoli di altra natura, destinati più ad insinuare che ad informare, più ad inventare che a riferire, più a imbrogliare che a chiarire, più a partecipare alla partita politica di turno che a raccontarla. Cosa non facile, ammette Mattei tornando a riconoscere di avere sbagliato pure lui e a citare, come esempio, l’ingiusto trattamento riservato al “povero” Moro. Che, sequestrato poi dalle Brigate rosse, finì ammazzato, rifiutando ogni trattativa, in nome di una fermezza tradita dopo qualche anno per salvare la vita ad un modesto assessore regionale campano, del suo stesso partito e rapito pure lui dai terroristi.

Onore, quindi, alla nota politica, e sue varianti. Mi permetto di aggiungere che a pastoni, note, punti e quant’altro debbo anche il rilancio del mio ricordo laggiù, fra di voi, quando fui tolto dall’oblio paragonando a me come “brigante” quel protagonista scomodo che si chiamava Bettino Craxi. Poveretto pure lui, costretto a riparare e a morire all’estero per non finire in una prigione italiana, dove critici ed avversari volevano chiuderlo per liberarsene.



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