Non si può proprio dire che il presidente Obama abbia particolare fortuna nella scelta dei Segretari alla Difesa. I primi due – Robert Gates e Leon Panetta – l’hanno pesantemente attaccato per il suo pressapochismo e inefficienza. Ora anche il terzo è stato rimosso. Il Segretario della Difesa USA, l’ex-senatore repubblicano Chuck Hagel, superdecorato nella guerra del Vietnam, è stato “dimissionato” dal suo incarico dopo meno di due anni.
Le foglie di fico delle dimissioni volontarie e dell’opportunità di avere un nuovo responsabile al Pentagono, dato che la situazione è mutata, non hanno ingannato nessuno. Il suo allontanamento dall’Amministrazione non è giunto inatteso. Se ne parlava da settimane. Si sapeva delle sue tensioni contro il “cerchio magico” degli stretti collaboratori del presidente Obama. Esse erano motivate soprattutto dal micro-management del National Security Council. Anziché limitarsi al coordinamento delle politiche estere e di sicurezza, il Consigliere alla Sicurezza Nazionale, Susan Rice, e il capo di stato maggiore di Obama, Denis McDonough, by-passavano spesso i Dipartimenti di Stato e della Difesa, impartendo ordini ai responsabili operativi. Avevano fatto installare una linea diretta con il comando in Afghanistan, provocando l’ordine del Capo di Stato Maggiore della Difesa di non eseguire le istruzioni della Casa Bianca che non fossero veicolate lungo i canali istituzionali.
La situazione si era fatta insostenibile con l’intervento USA contro l’ISIS. Che Obama e i suoi collaboratori fossero pasticcioni era noto. Il guaio era che cambiavano frequentemente idea, mettendo in crisi organizzazioni la cui efficienza richiede chiarezza e continuità.
Le ragioni per le quali Obama ha deciso di dare il benservito a Hagel sono certamente molteplici. Il disastro delle elezioni di mid-term è stato dovuto dal fatto che gli elettori giudicano Obama incapace in politica estera. A ciò va aggiunta la ripetuta abitudine del presidente di scaricare le colpe delle difficoltà e degli insuccessi sui responsabili istituzionali, di cui peraltro ignora le raccomandazioni. Vuole fare di testa sua, come nel caso del completo ritiro delle truppe USA dall’IRAQ a fine 2011, oppure delle accuse rivolte alla CIA di aver sottovalutato l’ISIS e sopravvalutato le capacità delle forze irachene. Le critiche rivolte alla strategia adottata contro l’ISIS l’hanno indotto a offrire all’opinione pubblica USA Hagel come capro espiatorio.
Il punto essenziale della sostituzione di Hagel riguarda il possibile cambiamento della strategia imposta da Obama per il Medio Oriente. I bombardamenti hanno arrestato la travolgente avanzata in Iraq delle milizie del Califfato. Non sono però in grado di riconquistare i territori che hanno esse occupato in Iraq e soprattutto in Siria. La decisione di Obama di escludere l’impiego di forze terrestri americane ha tagliato l’erba sotto i piedi dei generali, che avevano espresso apertamente il loro dissenso. Mai si erano sentite critiche tanto pesanti nei confronti del “comandante in capo”, della sua strategia e dell’illusione di poter fare a meno di schierare forze terrestri, sperando che fossero fornite da forze locali: l’Esercito iracheno, rafforzato dalle milizie sciite; i peshmerga curdi e l’Esercito della Siria Libera. Su tali fantasie e sul fatto di lasciare Assad al potere in Siria, il dissenso fra Hagel e Obama era netto.
Lo dimostra anche il fatto che Hagel, nell’annunciare le proprie dimissioni, non abbia accennato a quanto sta accadendo in Medio Oriente. Aveva sempre sostenuto che per vincere l’ISIS l’attacco USA dovesse estendersi anche alle forze di Assad. La limitazione dei bombardamenti ai miliziani del Califfato ha permesso ad Assad di concentrare il suo esercito contro gli insorti che la Casa Bianca considera moderati. Essi sono inveleniti, ancor più di quanto lo fossero quando Obama decise di non rispettare il suo impegno d’intervenire i Siria qualora fosse stata superato la “linea rossa” dell’uso delle armi chimiche contro la popolazione in rivolta. La cosa, a parte erodere l’affidabilità degli USA, aveva fatto inferocire la Turchia e gli Stati del Golfo, che vedono nell’eliminazione di Assad un indebolimento della “mezzaluna sciita” e dell’Iran.
Forse Obama sperava di avere un appoggio da parte dell’Iran per far dimettere Assad, simile a quello che in Iraq gli aveva consentito d’evitare che Nuri al-Maliki rimanesse primo ministro. La possibilità di avere il sostegno di Teheran in Siria è sfumata con la mancata conclusione dei negoziati sul nucleare iracheno, il cui termine era stato fissato per il 24 novembre, guarda caso proprio il giorno dell’annuncio della destituzione di Hagel. La nuova data fissata per un accordo è fra sette mesi. Inoltre, le violenze usate dalle milizie sciite irachene nei confronti dei sunniti, ha annullato la possibilità di ricevere l’appoggio di queste ultime contro l’ISIS, facendo crollare un altro assunto su cui era basata l’intera strategia di Obama. Anche se non lo aveva dichiarato esplicitamente, la preferenza di Hagel andava a un’alleanza con la Turchia, non con l’Iran, forse rinunciando anche all’irrealistico obiettivo di mantenere l’Iraq unito, contrastando l’indipendenza del Kurdistan che i peshmerga sono persuasi di essersi meritata.
E’ impossibile dire se la sostituzione di Hagel favorirà o no un mutamento di strategia e se gli USA si allineeranno o no alle condizionalità poste dalla Turchia a un suo massiccio intervento: attaccare anche Assad e i terroristi curdi del PKK; creare una no-fly zone in Siria a Sud del territorio turco e aree di sicurezza per i rifugiati siriani. Tale mutamento interesserebbe anche l’Italia, che pur con le tradizionali cautele è sempre più impegnata nella coalizione anti-ISIS.