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Tutti i meriti di Renzi nel trascurare i sindacati

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Sergio Soave apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Ha fatto una certa impressione, e suscitato scandalo in certi ambienti di sinistra, l’affermazione di Matteo Renzi secondo cui il governo non deve sottoporre a trattativa con le confederazioni sindacali le leggi che presenta al Parlamento. In realtà in nessun paese di democrazia rappresentativa esiste questa prassi di concertazione preventiva con le parti sociali, che ridurrebbe fino a sostanzialmente trasformarla in una semplice presa d’atto la discussione parlamentare.

In Italia invece questo metodo è stato adottato a cominciare dagli anni Sessanta ma con una finalità politica specifica, quella di coinvolgere nelle decisioni il Pci, che non poteva essere associato alle maggioranze governative per ragioni di collocazione internazionale. Prima Agostino Novella e poi Luciano Lama assunsero, in quanto segretari generali della Cgil e esponenti di primissimo piano del Pci (oltre che in forza della loro spiccata personalità) una funzione politica, che gestirono in molti casi per agevolare ma anche condizionare gli aspetti riformistici delle maggioranze di centrosinistra, di compromesso storico e poi anche di pentapartito, fino alla fatale rottura sul decreto di san Valentino, voluta, come tutti sanno, più da Enrico Berlinguer che dal leader della Cgil.

Dopo la decapitazione giudiziaria delle formazioni di centrosinistra all’inizio degli anni Novanta, la concertazione divenne di fatto addirittura sostitutiva della dialettica parlamentare, dequalificata dalla grandinata di provvedimenti giudiziari. È in quel clima che Bruno Trentin firmò a malincuore l’intesa per l’abolizione della scala mobile, salvo subito dopo dimettersi, e Sergio Cofferati gestì i processi di trasformazione del sistema contrattuale e del mercato del lavoro, anche lui fino alla fatale rottura sull’articolo 18.

Ora che il Pci non c’è più, perché la vittoria alle primarie di Matteo Renzi ha rotto la continuità con i gruppi dirigenti democratici che avevano avuto origine alle Botteghe oscure, si può benissimo archiviare la supplenza politica esercitata impropriamente (anche se in varie occasioni utilmente) dalla Cgil. Renzi ha voluto rendere esplicita questa situazione con una certa civetteria, sia perché questo di fatto consolida la sua alleanza con i centristi, sia perché mette in difficoltà la sinistra interna al suo partito che appare ora sostenitrice di un diritto di veto sindacale che è in realtà impopolare anche tra i democratici. D’altra parte tutte le sinistre di governo europee hanno dovuto combattere per emanciparsi dall’ipoteca sindacale sulle loro scelte ed è naturale che ora tocchi, in ritardo, anche a quella nostrana.


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