L’ultima occasione rimasta in mano a Barack Obama per segnare il suo passaggio alla Casa Bianca con un marchio da statista internazionale, è trovare un accordo con l’Iran per lo stop del programma nucleare. L’ultima rimasta in piedi – visto i vari fallimenti, dal pivot asiatico alla perdita della centralità in Medio Oriente, per esempio – e che ha una data di scadenza piuttosto stretta: il 24 novembre 2014.
Ci sarà modo di fare proroghe, forse, ma la scadenza è importantissima anche perché tiene appesa la cooperazione militare sul fronte “anti-IS”: le forze aeree americane colpiscono dal cielo, mentre a terra i consulenti iraniani si sono diffusi tra le truppe dell’esercito iracheno – il capo delle forze speciali pasdaran, il generalissimo Qassem Suleimani, si fa scattare foto da una parte all’altra del”Iraq, come fosse in gita turistica, per ricordare quanto ampio è l’impegno di Teheran contro il Califfato e al fianco di Baghdad.
Per raggiungere lo scopo, Obama sta cercando ogni strada possibile, e ha iniziato ad accettare vari gradi di compressi. Uno di questi, per esempio, riguarda proprio la collaborazione, non ufficiale, con gli iraniani contro il Califfo.
Da domenica 9 novembre i negoziati sono entrati in una nuova importante fase – anche, e soprattutto, visto lo stringersi dei tempi. Il segretario di Stato John Kerry è stato con il suo omologo iraniano Javad Zarif in Oman – paese che ha già in passato, e con tempi peggiori, fatto da vettore per gli incontri . E il presidente Obama in persona ha firmato una lettera diretta a Khamenei – i rapporti tra i due Paesi sono migliorati dall’elezione di Rouhani al posto di Ahmadinejan, ma nella teocrazia islamica, il terminale ultimo delle decisioni rimane pur sempre la Guida Suprema.
Nella missiva, inviata una decina di giorni fa, secondo il Wall Street Journal, sarebbero contenuti anche dei passaggi riguardo la situazione in Siria (è la quarta lettera ufficiale, ma per gli aspetti seguenti sembra la più importante). In particolare, oltre alle esortazioni della Casa Bianca a raggiungere una soluzione condivisa, ci sarebbe anche un’assicurazione: qualcosa come, “non toccheremo Assad” se voi accettate un accordo sul nucleare.
Il regime alawita del presidente siriano, è da sempre amico di Teheran: gli iraniani hanno investito su Damasco – sbocco d’influenza in pieno Medio Oriente – e si sono dimostrati alleati fedeli nel conflitto civile che sta dilaniando la Siria da oltre tre anni (hanno inviato uomini e mezzi per aiutare i lealisti, hanno mosso le sfere di influenza tra le milizie sciite locali e gli Hezbollah libanesi). L’Iran vuole un futuro siriano con Assad al comando – tradotto, un futuro siriano “controllabile”. Per questo chiede garanzie alla Coalizione internazionale – tradotto assicurazioni agli americani – sull’evitare di modificare lo status quo.
Secondo il WSJ, Obama avrebbe assicurato nella lettera, che tra i bersagli delle operazioni militari americane non ci sono il governo di Damasco e le sue forze di sicurezza.
Sempre secondo il WSJ, Washington non avrebbe avvisato nessuno dei suoi alleati locali del contatto diretto con Khamenei, soprattutto non li ha avvisati del contenuto. Per capirci, i sauditi, nemici giurati dell’Iran, stanno combattendo al fianco degli americani, con un progetto “anti-IS” e con mire “anti-Assad”, ma non sanno che nell’idea di Obama c’è di “non toccare” il regime in Siria. E pure Israele, altro nemico giurato iraniano, non ne sa niente: i rapporti con Tel Aviv non sono in una fase ottimale da qualche tempo: c’entra proprio l’avvio dei negoziati con la Repubblica Islamica (che gli israeliani considerano una iattura); c’entrano le uscite di un funzionario dell’Amministrazione americana, riprese da Jeffrey Goldberg sull’Atlantic a inizio ottobre, che definivano il premier Benjamin Netanyahu un “cagasotto” (“chickenshit”, testualmente) – «il leader straniero che causa più frustrazione alla Casa Bianca e al dipartimento di stato» lo definiva Goldberg riprendendo le parole della sua referenziata fonte.
Così Obama trascura gli “amici”, per mettere a segno il colpo grosso col nemico. Dall’altra parte dell’accordo, però, il ricevente della missiva, non sarà certamente lì pronto ad ascoltare con timida fiducia: lo scorso mese, infatti, Khamenei ha messo in ridicolo le attività militari americane in Medio Oriente, e ha pure accusato gli USA di aver creato al-Qaeda e l’Isis. Uscite che non sono buone fondamenta per un dialogo.
Ma, si diceva, il presidente americano, ha ormai in mano solo questa ultima carta, per lasciare un segno nella sua politica internazionale – e portare a casa almeno uno dei grandi obiettivi fissati.
A inizio novembre, il Pentagono aveva richiesto concessioni straordinarie per far sì che alcune aziende iraniane potessero chiudere affari in Afghanistan. La missione della Difesa in suolo afghano, è incentrata sulla necessità di ricostruire il settore sicurezza, così come nello spingere la ripresa economica. Anche in questo caso, si accettano compromessi: l’Iran è sotto sanzioni, perciò alle sue ditte dovrebbero essere chiusi quegli affari, ma sulla riva destra del Potomac sanno che il Paese potrebbe diventare un partner economico importante per gli afghani. E così esenzioni dalle restrizioni, sono già state chieste per permettere agli iraniani di creare la prima compagnia farmaceutica dell’Afghanistan, e perché sviluppassero quattro miniere.
In mezzo a tutto, si inserisce la Russia – Putin fiuta la debolezza come uno squalo il sangue, e la necessità della Casa Bianca di chiudere l’accordo sul nuke tra vari compromessi, può essere un segno di debolezza, appunto. La scorsa settimana Mosca ha chiuso un contratto per la costruzione di otto reattori nucleari in Iran. I russi manterrebbero il controllo sul combustibile atomico, come garanzia. Sarebbe buono, per Obama e per i negoziati, se solo ci si potesse fidare sul serio di Putin. Uno che se deve scegliere una parte (e adesso ancora di più) sceglie quella dell’Iran, e pure di Damasco.