Accanto a ritardi storici irrisolti l’Italia rischia di compiere clamorosi passi indietro in comparti economici competitivi. È questo il punto più rilevante messo in luce dall’Indice sulle liberalizzazioni in Italia redatto dall’Istituto Bruno Leoni e presentato oggi all’Istituto Sturzo di Roma. Rapporto che presenta un quadro per molti versi analogo a quello emerso nel 2013.
Luci e ombre di un paese tuttora poco liberalizzato
Analizzando 10 settori produttivi in 15 Stati membri dell’Unione Europea, gli autori dell’indagine hanno elaborato una graduatoria tenendo conto dell’esistenza di molteplici ostacoli all’apertura del mercato: le barriere legali come le norme sugli infortuni sul lavoro nel settore assicurativo, la regolamentazione pubblica dei prezzi, i trattamenti fiscali discriminatori, la mancata separazione tra gestione delle reti e attività dei gruppi industriali, la persistenza dello status quo e l’egemonia dei monopolisti, la scarsa qualità delle istituzioni politiche.
La realtà più liberalizzata è il Regno Unito, seguito da Olanda, Svezia e Spagna, mentre in fondo alla classifica sono Grecia, Lussemburgo, Italia, Francia, Danimarca.
Nel nostro paese le performance migliori riguardano trasporto aereo, telecomunicazioni, energia elettrica. Le peggiori concernono il mercato televisivo, le ferrovie, le poste. A metà strada si trovano i mercati assicurativo, dei carburanti e del gas.
Un salto culturale necessario
Le cifre, spiega l’economista e senior fellow dell’Istituto Bruno Leoni Carlo Stagnaro, rivelano la profonda relazione fra ridotto tasso di liberalizzazioni e scarsa crescita dell’Italia e dell’Unione Europea.
Realtà che beneficerebbero di processi coraggiosi di apertura del mercato e riduzione dell’intervento arbitrario delle istituzioni pubbliche: “Perché la libertà in entrata e uscita del numero più ampio di operatori può promuovere lo sviluppo senza mettere sotto stress i bilanci pubblici, favorire l’aumento del reddito e degli investimenti, ridurre i prezzi, allargare l’offerta, agevolare la creazione di lavoro, incoraggiare il progresso tecnologico”.
Ma tale fenomeno, rimarca lo studioso e ora consigliere del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, è una conquista fragile. Che ha visto passi indietro negli ultimi anni, a partire dal comparto commerciale. “Per questo motivo richiede un cambiamento culturale significativo: coltivare la fiducia nella competizione aperta tra imprese come metodo efficace di fornitura dei servizi pubblici”.
Il ruolo incisivo dell’Authority
Ma non è sufficiente un salto di mentalità per mettere in campo una politica favorevole alla competizione. Un ruolo nevralgico può essere svolto dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato.
La quale, ricorda il suo componente Salvatore Rebecchini, ha acquisito ed esercitato negli ultimi due anni il potere di segnalare un provvedimento della pubblica amministrazione lesivo della concorrenza. E di impugnarlo di fronte al giudice amministrativo per richiederne l’annullamento: “Fino a oggi sono stati promossi 26 ricorsi che nella gran parte dei casi hanno prodotto un esito positivo”, ha detto il commissario Rebecchini, da sempre alfiere di più concorrenza e mercato in Italia.
Altra prerogativa attribuita all’Authority è la facoltà di adire la Corte Costituzionale tramite la Presidenza del Consiglio per ottenere la bocciatura di leggi regionali che violano i principi della libera competizione: “E in 5 casi su 9 la Consulta ha riconosciuto la legittimità dei nostri rilievi”. Prova eloquente che la grande difficoltà nei programmi di liberalizzazioni si riscontra soprattutto nella legislazione di rango secondario e locale.
Gli ostacoli al commercio vengono dalle istituzioni locali
Emblematico quanto accade nel terreno delle attività commerciali. Le liberalizzazioni promosse nel 2006 e 2007 da Pier Luigi Bersani, rileva l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese, non sono state portate a compimento. Perché alle regioni è stata riconosciuta la facoltà di introdurre vincoli restrittivi di varia natura: “Nel mercato dei carburanti in alcuni territori è stato imposto ai nuovi operatori l’obbligo di fornire gas e elettricità accanto alla benzina”.
I vincoli al numero massimo di farmacie che uno stesso soggetto può creare in un centro abitato ha penalizzato anche lo sviluppo delle para-farmacie. Realtà che, grazie alla vendita di prodotti medici al 20 per cento in meno, hanno contribuito al taglio dei costi per i medicinali di largo consumo, all’estensione dell’offerta, all’ampliamento delle opportunità di lavoro per tanti giovani farmacisti.
Riguardo alle attività commerciali in senso stretto, il dirigente della società di grande distribuzione alimentare ritiene “inaccettabile che ogni regione stabilisca regole differenti sulle dimensioni standard di un negozio e che i comuni intervengano nella definizione degli orari di apertura degli esercizi”.
Un mercato postale sbilanciato?
Comparto molto critico nel grado di apertura al mercato è quello postale, in cui l’Italia è collocata al penultimo posto nell’Ue. La ragione di una simile arretratezza, osserva l’amministratore delegato di Nexive Luca Palermo, è una liberalizzazione più formale che effettiva: “Nonostante l’eliminazione da parte del governo dell’esenzione Iva per le negoziazioni private realizzate da Poste Italiane e la mancanza di grosse barriere all’ingresso di nuovi operatori, permangono ostacoli a un’autentica competizione”.
Esempio evidente di tali freni è a suo giudizio la nozione di “servizio pubblico universale” nel terreno postale: “Un concetto che non si limita alle esigenze elementari delle famiglie, ma si allarga alle aziende. E che, grazie flusso rilevante di risorse pubbliche stanziate a favore dell’ex monopolista, altera la concorrenza con i privati” (qui un approfondimento della questione servizio universale).
Negli altri paesi europei, rimarca Palermo di Nexive, l’iniziativa dei gruppi di mercato che dispongono di reti moderne frutto dell’integrazione fra tecnologie digitali, strutture materiali e risorse umane viene incoraggiata: “Soprattutto nei servizi di prossimità e nell’e-commerce”.
Mercato televisivo inflazionato dall’offerta
Altro settore arretrato nel tasso di concorrenza è quello televisivo, secondo gli esperti di Ibl. “Un vero peccato in termini di fatturato e ricadute virtuose nel tessuto economico”, evidenzia il vice-presidente esecutivo di Sky Italia Eric Gerritsen.
Per il quale lo scarso livello di apertura al mercato, con i suoi riflessi nel calo degli investimenti pubblicitari e dello stesso canone Rai, deriva dall’eccesso di un’offerta che comprende 150 canali accessibili.
Per capovolgere la rotta – afferma il manager – è necessario riordinare, ridurre e semplificare le frequenze come nelle altre realtà europee, agevolare i processi di digitalizzazione delle reti, calibrare i contenuti sulle esigenze specifiche del pubblico”.
Governo coraggioso a metà
Argomentazioni che trovano ascolto nel ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. La quale rassicura sulla fiducia del governo nel potenziale delle liberalizzazioni e della concorrenza, “fondamentali per attrarre nuovi investimenti produttivi”.
Convinzione che tuttavia non si è tradotta in iniziativa coraggiosa e radicale in un capitolo nevralgico per l’effettiva apertura dell’economia italiana.
Nella Legge di stabilità non vi è traccia della messa sul mercato di quote del Tesoro nelle grandi industrie di Stato, anche la procedura della vendita di una quota dell’Enel posseduta dal Mef è in corso. Né della vendita o liquidazione della giungla di aziende partecipate dalle amministrazioni locali, sacca di “socialismo reale municipale” e fonte di dissipazione di risorse pubbliche oltre che di lottizzazione partitica clientelare.
La deregulation in cantiere
L’esponente dell’esecutivo ha preferito enucleare i passi in avanti compiuti negli ultimi mesi. Rivendica il taglio della componente para-fiscale nelle bollette energetiche per le aziende nella cornice di una complessiva riduzione delle tasse per famiglie e imprese.
E ricorda gli sgravi fiscali previsti nel decreto legge sulla competitività per favorire il consolidamento patrimoniale dei gruppi industriali e l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato di capitali differente rispetto a quello bancario.
Il nuovo fronte di intervento passa ora per “un’opera di deregulation e semplificazione tramite un provvedimento pro-concorrenza che verrà presentato al più presto”.