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La bomba politica della resa di Napolitano

Sia che lo abbia deciso da solo, come ha scritto Stefano Folli nel suo “Punto” appena traslocato da Il Sole 24 Ore, e come lui stesso anche di recente si era riservato pubblicamente di fare, sia che lo abbia infine deciso cedendo alle pressioni e preoccupazioni della moglie Clio, secondo le voci raccolte da Il Fatto, è un’autentica bomba politica l’annuncio appena dato da La Repubblica delle ormai imminenti dimissioni del capo dello Stato, in coincidenza con la fine dell’anno e del semestre di turno di presidenza italiana dell’Unione Europea.

Giorgio Napolitano potrebbe annunciare il suo ritiro – si teme in qualche palazzo del potere – già in occasione del tradizionale messaggio televisivo di Capodanno, che sarà il nono consecutivo dell’attuale capo dello Stato, eletto la prima volta nel 2006 dal Parlamento e rieletto nel 2013, dopo ripetuti e inutili tentativi delle Camere, e dei delegati regionali, di trovargli un successore, quando egli aveva già preparato i bagagli, diciamo così, per tornare a casa e aveva pure individuato, con gli addetti ai lavori, gli uffici di Palazzo Giustiniani destinatigli come senatore a vita.

Solo la fantasia ingenua e ostinata di qualche amico e la malvagità di più numerosi critici ed avversari avevano allora potuto attribuirgli, rispettivamente, la disponibilità o il proposito di raddoppiare – alla sua già avanzata età – un mandato presidenziale già troppo lungo di suo, come lo stesso Napolitano aveva avuto del resto modo di osservare respingendo, in vista della scadenza appunto del 2013, le sollecitazioni o ipotesi di una sua rielezione. Sollecitazioni e ipotesi che avevano peraltro messo in allarme la contrarissima moglie del presidente.

Di nuovo, rispetto a quanto già si poteva intuire dalle sue ripetute e pubbliche sottolineature dei tempi necessariamente “brevi” o “non lunghi” del suo secondo, imprevisto, non voluto mandato presidenziale, c’è nelle credibili anticipazioni di Folli su La Repubblica lo stato di delusione, se non di vera e propria polemica, in cui il presidente della Repubblica ha maturato da solo, ripeto, o su sollecitazione anche della moglie, la decisione di lasciare il Quirinale. Una delusione, o polemica, per i ritardi incontrati anche dal giovane e baldanzoso presidente del Consiglio sulla strada delle riforme alle quali più teneva e tiene il capo dello Stato, specie dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale contro parti non certamente irrilevanti della legge elettorale che portò all’ultimo rinnovo delle Camere, due anni fa: la riforma elettorale, appunto, e quella del Senato per il superamento del vecchio e ormai incongruo bicameralismo cosiddetto perfetto, in realtà ripetitivo e dilatorio.

La delusione, la stanchezza, la polemica – chiamatele come volete – del capo dello Stato di fronte ai ritardi sulla strada di queste riforme, uniti peraltro alle difficoltà con le quali le Camere stanno ancora provvedendo a completare la composizione della Corte Costituzionale,  spiegano anche il tentativo un po’ brusco con cui Matteo Renzi ha cercato negli ultimi giorni a Palazzo Chigi di cambiare un’andatura che egli già riteneva più veloce dei suoi due predecessori: Mario Monti e soprattutto Enrico Letta. E di cambiarla, questa andatura, anche a costo di grossi e confusi strappi politici, minacciando per esempio Silvio Berlusconi di sostituirlo come interlocutore privilegiato, all’opposizione, sulla strada delle riforme e degli adempimenti istituzionali con l’ancor più imprevedibile ed estraneo Beppe Grillo.

Con la decisione di accelerare la fine del suo secondo mandato Napolitano ha dato, a torto o a ragione, ma probabilmente più a ragione che a torto, l’impressione di prevedere o temere sviluppi da lui incontrollabili della situazione politica. Egli non intende gestire, secondo le informazioni raccolte da Folli, né un’altra crisi di governo né un altro ricorso anticipato alle urne senza la rete di protezione di una legge elettorale in grado di garantire credibili condizioni di governabilità.

I timori e le preoccupazioni di Napolitano sono accreditati, o confermati, dalla fretta con la quale i grillini hanno accolto con la loro solita dose di doppiezza e spregiudicatezza politica le aperture formali di Renzi, reclamando peraltro un’ipoteca anche sulla scelta del nuovo capo dello Stato. E ciò, nonostante le velleitarie e inconcludenti operazioni da essi condotte due anni fa, al loro esordio parlamentare, quando pretesero di imporre a tutti gli altri il loro candidato al Quirinale. E dopo avere reclamato dall’incredulo presidente uscente, e non ancora rieletto, addirittura la presidenza del Consiglio.

Non giova certamente alla chiarezza del cosiddetto quadro politico o alle prospettive istituzionali la fretta con la quale dalle file renziane si sono accolte le pulsioni quirinalizie dei grillini. E’ accaduto, in particolare, che il governatore della regione Piemonte, e già sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, si sia precipitato dalle colonne de Il Fatto ad annunciare la sua disponibilità a farsi scegliere e indicare da Grillo come il candidato buono ed accettabile del Pd di Renzi al Quirinale. Se questo è l’antipasto, vengono i brividi ad immaginare il resto.



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