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Le due culture e la sfiducia nei vaccini

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un progressivo aumento della percentuale di genitori che si oppongono al programma di vaccinazione per l’infanzia.

Questa crescente sfiducia non trae origine da fattori oggettivi ma da una serie di fattori culturali. Una combinazione di studi scientifici fraudolenti (ad esempio il lavoro che sosteneva che i vaccini producono l’autismo), articoli irresponsabili sui media tesi a diffondere il panico utilizzando notizie dubbie e forse dettati da posizioni ideologiche a priori, movimenti politici o di opinione che vedono complotti ovunque organizzati dalle multinazionali del farmaco.

La vaccinazione è una pratica preventiva che rende l’individuo resistente all’infezione virale o batterica. Qualcosa che sottrare la popolazione alle rigide leggi della selezione naturale a cui costantemente tutti (anche quelli più contrari ai vaccini) cercano di sfuggire. Se avessimo avuto un vaccino contro Ebola quanti avrebbero veramente deciso di correre il rischio di ammalarsi? E quante vite avremmo potuto salvare?

Il successo dei vaccini nel prevenire e debellare le malattie (come nel caso del vaiolo) sono anche alla base dell’attuale posizione degli anti-vaccino. Non percependo più gli effetti devastanti della malattia si è portati a credere che non sia utile sottoporsi a vaccinazione. Questo è un punto chiave nella posizione psicologica degli obiettori: il fatto di non mettere in conto le morti che si prevengono.

Questa posizione ha un costo. Un costo in salute e in vite umane. Ma anche un costo per il servizio sanitario nazionale. Perché un fatto è prevenire una malattia, un altro curare un malato, cercare di salvargli la vita o doverlo assistere per menomazioni irreversibili.

La mia sensazione è che questa problematica non sia affrontabile solo con una corretta informazione scientifica, comunque necessaria. Ormai in Italia come negli altri paesi occidentali, abbiamo un ottimo giornalismo scientifico.

Il problema è la scollatura tra cultura scientifica e cultura umanistica. Non esiste una rappresentazione artistica o un’elaborazione culturale attraverso la quale la società percepisca la scienza come qualcosa di proprio. Anzi, in generale, soprattutto in Italia, la scienza viene vista come una specie di corpo estraneo. Da una parte la Cultura che si occupa dell’uomo, della sua anima, delle sue sofferenze. Dall’altro la scienza, la medicina, la tecnica che  parlano di concetti “incomprensibili”, con il sospetto che rispondano alle esigenze del profitto capitalistico. Una concezione che sorprendentemente mette d’accordo in tutto l’arco parlamentare.

La scissura tra le due culture è molto evidente nei luoghi deputati a trasmettere il sapere: le Università. Dove esiste una netta e insormontabile barriera tra discipline scientifiche e umanistiche.

Forse su questo dovremmo riflettere se vogliamo iniziare ad affrontare seriamente il problema.

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