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Lo “Tsunami Digitale” ed il futuro dell’Italia

Lo “Tsunami Digitale” crea destabilizzazione e turbolenza sociale in tutto il mondo. L’applicazione simultanea ed inedita di quattro potenti “forze” tecnologiche (connettività, velocità, memoria e automazione) sta modificando profondamente la società contemporanea: la vita quotidiana delle persone, l’organizzazione del lavoro, il funzionamento dei poteri sovrani.

Ma la grande rivoluzione tecnologica che caratterizza la nostra epoca produce effetti profondamente differenziati nei diversi contesti nazionali. In alcuni Paesi essa è un fattore di crescita economica e di benessere sociale. In questo caso la disoccupazione indotta dalle nuove tecnologie è compensata dalle nuove opportunità di lavoro che si creano nei servizi, nell’industria e nei centri di ricerca. In altre nazioni,  viceversa, il saldo è decisamente negativo. Da un lato cresce in misura esponenziale la dipendenza tecnologica e commerciale dall’estero, dall’altro l’introduzione di processi di automazione nelle imprese e nella pubblica amministrazione  crea inevitabilmente nuovi eserciti di disoccupati.

Il diverso impatto della rivoluzione digitale nei singoli Paesi dipende sostanzialmente da tre fattori: a) investimenti (pubblici e privati) in ricerca e sviluppo; b) proiezione internazionale delle imprese; c) capacità del sistema politico-amministrativo di adattarsi rapidamente ai nuovi imperativi del mondo digitale.

Rispetto ai primi due fattori l’Italia ha le risorse necessarie per evitare una clamorosa retrocessione: dispone di capitale umano, di centri di ricerca eccellenti, di un consistente numero di imprese ben radicate nei mercati internazionali. Semmai ciò che manca è una strategia nel campo degli investimenti e della ricerca applicata. Senza una politica tecnologica l’Italia non sarà neppure in grado di approfittare delle nuove opportunità che si profilano in sede europea.

C’è grande attesa per le promesse di Juncker, ma le disponibiltà finanziarie europee avranno un impatto limitato in assenza di una chiara e lungimirante strategia nazionale. Nel campo delle politiche industriali e tecnologiche l’Unione Europea è essenzialmente un ente finanziatore e non dispone degli strumenti per promuovere su scala globale gli interessi strategici dei suoi Stati Membri neppure quando essi sono pienamente convergenti.

Tramontata l’utopia del mondo senza confini, il cyberspazio è diventato un terreno di competizione politica ed economica che ha come protagonisti i grandi poteri sovrani ed i colossi privati multinazionali. Per questo occore muoversi in fretta: persino piccoli Paesi come Israele o l’Estonia aspirano a diventare “potenze digitali”. Chi intendesse approfondire i profili della politica internazionale nell’era digitale può leggere questo mio contributo.

Ma ciò che mi preoccupa di più per l’Italia è il terzo fattore: la capacità del sistema politico-amministrativo di adattarsi rapidamente agli imperativi del nuovo mondo digitale. Su questo aspetto il nostro Paese parte decisamente svantaggiato. La rivoluzione digitale spinge a connettere ed a condividere in tempo reale. Purtroppo l’assetto (e le concrete dinamiche di potere) del sistema amministrativo italiano si sono storicamente sviluppate nella direzione diametralmente opposta.

Nella sua “costituzione materiale”, l’Italia si è sempre più distinta per l’alto tasso di frammentazione del potere e per la dispersione di energie che caratterizza i processi decisionali pubblici (power dispersion). Tutti i processi amministrativi sono rigidamente compartimentati in senso verticale: non fanno a capo al Governo, ma ai Dicasteri, chi decide non è il Ministero, ma le singole Direzioni Generali, non le Regioni, ma le ASL, non le ASL, ma i dirigenti di settore, non il sindaco, ma il dirigente comunale, eccetera, eccetera.

La rivoluzione digitale impone- viceversa – alla pubblica amministrazione di rompere questa spirale perversa e di adottare un modello organizzativo opposto. Le resistenze saranno enormi. E’ molto difficile per tutti cambiare abitudini consolidate, rinunciare ai propri orticelli, perdere quote di potere. Tuttavia questa è la sfida del futuro, forse la prova più difficile che il governo di Matteo Renzi dovrà affrontare nei prossimi mesi se intende davvero arrestare il declino.

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