Il Parlamento europeo ha riconfermato la fiducia a Jean-Claude Juncker dopo lo scandalo dei negoziati segreti di “ottimizzazione fiscale” in Lussemburgo. “Non si può mettere in crisi la Commissione europea in questo momento”, questa la ragione ufficiale della fiducia parlamentare. In realtà, quel che emerge è che in assenza di una legislazione di armonizzazione europea sulla fiscalità delle imprese – atto che nessun governo vuole che si legiferi – tutto resterà com’è, cioè ciascun paese applicherà la legislazione fiscale che più gli conviene. Dal Lussemburgo che offre schemi fiscali dal 1% al 13% all’Irlanda che riduce l’Iva e le imposte sulle società a meno del 19%, dall’Olanda dove le holding finanziarie sono praticamente esentate dalla tassazione all’Estonia che offre schemi societari europei vantaggiosi per l’import-export. Quindi Juncker non ha fatto niente di diverso dagli altri capi di governo? Il gruppo S&D, tramite il capogruppo Gianni Pittella, si dice pronto dare battaglia se Juncker non presenterà un “progetto di legislazione europea per armonizzare la fiscalità”. Solo i così detti anti-europeisti, cioè i gruppi delle varie destre e delle varie sinistre, hanno chiesto le dimissioni di Juncker e stanno raccogliendo firme in tal senso. Vedremo, ma si ha l’impressione che dopo le chiacchiere tutto continuerà come prima, nell’evidente collusione tra le tecnocrazie europee e le alte burocrazie nazionali.
Invece, la notizia di venerdì 14 novembre è che il braccio di ferro tra il Parlamento europeo, che sostiene la Commissione europea, e i governi riuniti nell’Ecofin (i ministri delle finanze) continua a tenere in stallo l’approvazione del budget Ue per il 2015. La materia del contendere è un aumento del 5% del budget 2015 che la Commissione ha chiesto rispetto al 2014. La Commissione chiede 142.1 miliardi di euro (+5% rispetto al 2014), il Parlamento vuole un budget di 146.42 miliardi e i governi non vogliono superare i 140 miliardi. Risultato, i negoziati per trovare un accordo sono saltati. Se non si troverà un accordo la Commissione europea non potrà onorare nel 2015 i pagamenti per i contratti già in essere (perché in parte contabilizzati ma non coperti da impegni di spesa). Tradotto, significa che molti pagamenti per i contratti di fornitura di beni e servizi – quei contratti che derivano dagli appalti europei, come ad esempio nella cooperazione internazionale – non potranno essere onorati nel 2015. D’altra parte, il 5 novembre la Corte dei Conti dell’Ue ha dichiarato, tramite il suo presidente, che “l’Ue non usa bene il suo budget” con numerosi sprechi e cattiva gestione e “in violazione delle regole”. Il presidente ha aggiunto che “la situazione non può continuare così”. Quindi, i controllori indipendenti dei conti della Commissione europea non approvano la contabilità delle istituzioni europee. Quelle stesse istituzioni che invece pretendono di mettere alla berlina i governi che “non rispettano le regole” di austerità.
Le conseguenze politiche di questa situazione potrebbero essere molto gravi. Senza un budget 2015 approvato e corretto, anche le promesse di Juncker sul rilancio dell’occupazione (i famosi 300 miliardi di euro) sono a rischio. Inoltre, molti dei programmi esterni dell’Ue rischiano di non essere fruibili a causa del budget bloccato. Le tensioni interne all’eurozona potrebbero esplodere in uno scontro entro il prossimo Consiglio di dicembre, che segna la conclusione di un’invisibile presidenza di turno italiana prima che passi il testimone alla Latvia. Le tensioni con la Russia si aggravano anche in forza delle dichiarazioni della Nato e delle annunciate nuove sanzioni europee, mentre gli Usa “si aspettano” che il Consiglio di dicembre approvi in via definitiva l’accordo transatlantico Ttip.