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Tap, Roche, Ericsson e non solo. Perché l’Italia rischia di rottamare 33 miliardi di investimenti

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È possibile raccontare l’Italia con semplicità e limpidezza ai gruppi industriali stranieri animati dalla spinta a investire nel nostro paese? Superando di slancio freni e zavorre che lo rendono poco attraente ai loro occhi?

A questi interrogativi hanno tentato di rispondere giuristi, economisti e politici coinvolti nella tavola rotonda “Teseo vs Labirinto istituzionale italiano”. Promossa a Roma dall’Istituto per la competitività, l’iniziativa ha certificato i molteplici ostacoli che la burocrazia frappone alla realizzazione di opere strategiche per la rinascita produttiva.

Una montagna di risorse a rischio

Il Rapporto redatto da I-Com attraverso l’analisi di 83 progetti in 7 comparti di mercato fornisce una cifra più eloquente di ogni trattato accademico: gli investimenti di aziende italiane ed estere in Italia che rischiano di essere vanificati ammontano a 33,3 miliardi di euro, di cui 19,4 costituiti da capitali esteri e 13,7 di risorse nazionali.

La sindrome Nimby blocca l’innovazione energetica

Comparto nevralgico per le sue ricadute, l’energia vede 12 miliardi messi a repentaglio. Emblematica la vicenda del gasdotto Tap, che dovrebbe aprire una nuova rotta di approvvigionamento dall’Azerbaijan alla Puglia ma trova una fiera resistenza nelle amministrazioni territoriali. Classica manifestazione dell’incidenza della sindrome Nimby, che potrebbe pregiudicare l’avvio dei cantieri nel 2015.

Così, ricorda il professore di Economia industriale all’Università di Bari e Senior stakeholder engagement advisor di Tap Italia Ernesto Somma, un progetto che realizza il corridoio meridionale europeo del gas coinvolgendo 10 paesi forte dell’appoggio delle istituzioni comunitarie, fronteggia da tempo il potere di interdizione esercitato soprattutto dal governatore regionale Nichi Vendola.

Altrettanto rilevante il tentativo, perseguito invano dalla British Gas, di allestire un moderno rigassificatore a Brindisi. Rischiano poi di andare in fumo 6 miliardi stanziati per programmi riguardanti le energie rinnovabili, a causa dell’incertezza derivante dall’introduzione del provvedimento spalma-incentivi.

Le criticità nelle telecomunicazioni, farmaceutica e trasporti

Nel terreno delle telecomunicazioni il gioco dei veti incrociati tra amministrazioni pubbliche ha ostacolato finora gli investimenti necessari sulle reti di banda larga e per lo sviluppo delle tecnologie digitali. Con il risultato di bloccare 9 miliardi, per il 40 per cento esteri. Nunzio Mirtillo, amministratore delegato di Ericsson Italia e presidente Regione Mediterraneo della multinazionale, punta il dito contro “la carenza nel processo di digitalizzazione della Pa che rende arduo modernizzare le reti radiomobili”.

Nel comparto farmaceutico, che vede l’Italia all’avanguardia nella ricerca ed esportazione, le multinazionali sono pronte a investire 1,5 miliardi nei prossimi 3 anni a patto che la cornice normativa venga stabilizzata. Maurizio de Cicco, amministratore delegato di Roche Italia, spiega che le rigidità amministrative del nostro Paese provocano un’attesa di 2 anni per l’adozione di nuovi medicinali e tempi di gran lunga superiori alla media Ue per i pagamenti alle imprese.

Una cornice giuridica e istituzionale confusa potrebbe poi vanificare i 400 milioni di euro stanziati dalla compagnia algerina Cevital per l’acquisizione delle acciaierie Lucchini di Piombino, e i 600 milioni programmati da Ikea e Decathlon nella grande distribuzione. Mentre nel settore trasporti sono a rischio 5 miliardi destinati alla creazione di infrastrutture come i terminal degli aeroporti di Milano Malpensa, Venezia, Firenze, Genova.

Riformare subito il Titolo V

L’eccesso di regole sempre più complicate e i conflitti crescenti tra centri burocratici, rimarca l’economista dell’Università Roma Tre e presidente di I-Com Stefano da Empoli, rendono vulnerabili soprattutto le piccole e medie imprese. Ma la loro ambiguità e mutevolezza interpretativa crea difficoltà anche alle multinazionali estere.

La paralisi decisionale e la moltiplicazione dei veti neutralizzano la volontà riformatrice dello stesso governo nazionale. Mentre – spiega lo studioso – richiederebbero interventi radicali come una profonda revisione del Titolo V della Costituzione e una definizione rigorosa di competenze gerarchiche nell’eventualità di conflitti istituzionali: “Tutto ciò senza evocare velleità autoritarie”.

Le zavorre che gravano sul mercato

Nel nostro paese, evidenzia il professore di Diritto amministrativo presso la Scuola nazionale dell’amministrazione Fabio Cintioli, vi è un’estensione abnorme dell’apparato pubblico e dell’intervento regolatore nell’economia. Ne è prova il proliferare delle autorità indipendenti, che non agiscono soltanto nei casi di fallimento del mercato ma diventano sempre più invasive.

Fenomeno al quale – rileva il giurista – si affianca una marcata incertezza delle regole, espressione di una selva normativa barocca che non facilita l’individuazione del responsabile di un atto istituzionale.

Lo conferma “il carattere assembleare della Conferenza dei servizi spesso allargata agli enti locali, nella quale il voto a maggioranza penalizza il criterio della competenza per la promozione di opere infrastrutturali. O la regola del ‘silenzio-assenso’ che rende più che mai imprevedibili le decisioni della Pa. O la crescente sostituzione del giudice penale e amministrativo all’attività della burocrazia”.

Gli effetti economici di una democrazia decidente

Ma non è sufficiente limitare e responsabilizzare i poteri burocratici, giurisdizionali, regolatori per far ripartire l’economia. Fattore cruciale del mancato sviluppo produttivo dell’Italia degli ultimi vent’anni, osserva il docente di Politica economica alla London School of Economics e consigliere del premier Marco Simoni, è stata la scarsa qualità decisionale delle istituzioni politiche.

Per questa ragione lo studioso ritiene essenziale il percorso costituzionale di superamento del bicameralismo e la riforma della legge elettorale: “Finalizzata a individuare con limpidezza un vincitore in grado di governare e realizzare un riformismo concreto nella revisione della spesa pubblica, nell’innovazione del mercato del lavoro, della giustizia civile e dell’apparato pubblico”.

La centralità della politica

Convinto che il problema dell’Italia risieda nel “predominio della logica della tutela rispetto alla valorizzazione economica dei beni e ricchezze esistenti”, il parlamentare di Forza Italia e vice-presidente Commissione Attività produttive della Camera dei deputati Ignazio Abrignani propone una strategia nazionale coraggiosa e netta a partire dal terreno energetico e dal deposito delle scorie nucleari: “Senza sacrificare però ambiente e salute”.

Prospettiva condivisa dal rappresentante del Partito democratico e  sottosegretario alla Pubblica amministrazione con delega alla Semplificazione Angelo Rughetti: “È fondamentale che la politica scelga sui comparti nevralgici. Altrimenti lo faranno la magistratura, le alte amministrazioni, le corporazioni burocratiche. Con il risultato di alimentare un rapporto diretto tra interessi lobbistici e attività legislativa”.

Per questo motivo, precisa l’esponente del Nazareno, il governo ha introdotto con la riforma della Pa regole gerarchiche di responsabilità tra livelli amministrativi. E per tale  ragione “vuole fissare priorità precise riguardo gli interessi da garantire nel contenzioso amministrativo, oltre ad attribuire al Presidente del Consiglio un ruolo prevalente e decisivo nei conflitti tra authority”.


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