L’eventuale passo indietro di Giorgio Napolitano rappresenterebbe una sconfitta dell’intera classe politica, Matteo Renzi in primis. Così legge il tam tam sulle dimissioni del capo dello Stato scatenatosi nelle ultime ore il costituzionalista Vincenzo Lippolis, autore insieme a Giulio M. Salerno del recente saggio “La Repubblica del Presidente” (il Mulino).
Professore, come spiega la possibile decisione del Presidente della Repubblica di dimettersi?
Napolitano ha sempre legato la sua permanenza al Quirinale al percorso sulle riforme. Il suo eventuale passo indietro non sarebbe una pressione in questa direzione, come qualcuno ha ipotizzato, ma la certificazione del fallimento della politica. Il capo dello Stato, passato un anno e mezzo dalla sua rielezione, probabilmente sta tirando le somme e vede che l’approdo è lontano, troppo lontano, anche in relazione alla sua età e alle risorse fisiche che crede di avere.
Di chi è la colpa?
Ci sono stati ritardi della maggioranza e scricchiolii del patto del Nazareno. In generale, l’intera classe politica non è riuscita a tenere un ritmo adeguato alle promesse fatte, non è stata in grado di mettere al riparo le riforme dalla melina e dalle storture parlamentari.
E’ una sconfitta per Renzi?
In un certo modo sì, ecco perché, raccontano le indiscrezioni, si sarebbe speso molto per far cambiare idea al presidente. Renzi aveva dato sulla riforma elettorale e su quella costituzionale tempistiche precise e ravvicinate che non sono state rispettate. Non è riuscito in questo suo programma e le dimissioni di Napolitano potrebbero giungere prima della realizzazione delle riforme.
In questo caso, cosa accadrebbe? Scatterebbe il “liberi tutti”?
Se si profilassero elezioni presidenziali a breve termine, ciò innescherebbe nel sistema politico un ulteriore elemento di instabilità. Gli anni di Napolitano al Quirinale hanno dimostrato come mai prima le potenzialità dei poteri del capo dello Stato, di quanto e come egli possa influire sull’andamento della vita pubblica, soprattutto se non c’è un quadro politico solido. È chiaro che la scelta del suo successore non potrà che essere condizionata da questo elemento.
Il toto-nomi è già scattato…
Sì e non mi interessa parteciparvi. Mi limito ad alcune considerazioni. Se Renzi vuole restare a Palazzo Chigi a lungo, non vorrà un personaggio ingombrante al Colle come lo è stato in questi anni Napolitano. Penso che il capo dello Stato dovrebbe avere una larga condivisione parlamentare, per questo sostengo la tesi che se non viene eletto nelle prime tre votazioni a maggioranza qualificata, sarebbe giusto dare voce al popolo con un’elezione diretta. E’ chiaro che questo cambiamento richiede tempi lunghi e nell’arco temporale della successione a Napolitano si tratta solo di un’ipotesi teorica.
Intravede la possibilità di elezioni anticipate anche per la Legislatura?
Non sarebbe Napolitano a sciogliere le Camere ma eventualmente il suo successore. Quello che si nota in Parlamento – la vicenda delle nomine dei giudici della Corte costituzionale lo dimostra – è il totale non controllo dei gruppi parlamentari. Nel Parlamento dei nominati, deputati e senatori sono docili subito dopo l’elezione ma, se capiscono di non avere chance di essere rieletti, rendono Camera e Senato ingovernabili e imprevedibili. Gli accordi di vertice quindi rischiano di non trovare corrispondenza nei gruppi e con l’elezione del capo dello Stato si potrebbe andare incontro alla reiterazione delle votazioni, come accaduto con la Consulta.
Sulla legge elettorale si arriverà a un accordo definitivo?
Anche se l’accordo si dovesse trovare e venisse approvato, bisogna ricordare che l’Italicum è un sistema concepito per una sola Camera e dovrebbe presupporre la contemporanea approvazione della legge costituzionale o comunque la sua entrata in vigore dovrebbe ad essa essere collegata. Se così non fosse, si andrebbe a votare con l’Italicum alla Camera e con il Consultellum, la legge uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, al Senato. Sarebbe assurdo.