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Chi festeggia e chi no per il crollo del prezzo del petrolio

Dalla metà di giugno ad oggi, il prezzo del Brent è sceso di quasi il 25% con un calo da 115 a circa 87 dollari al barile.

Una caduta che porta con sé conseguenze economiche e dunque, anche geopolitiche.

LE RAGIONI DEL CALO

Gli analisti, come quelli di Bloomberg, parlano ormai apertamente di bear market, un mercato ribassista. Ma cosa si nasconde dietro al crollo dei prezzi? Secondo Stratfor, questo tonfo è in parte giustificato dalla diminuzione della domanda globale, causato principalmente dalla maggiore indipendenza energetica degli Usa, dovuta alla shale revolution, e dalla frenata dell’economia nei Brics, Cina in testa.

LA GUERRA DEI PREZZI

Sul ribasso pesa anche la guerra dei prezzi all’interno dell’Opec. La società d’intelligence fondata da George Friedman spiega che tra i Paesi produttori – Arabia Saudita e Iran su tutti –  c’è ormai una sfida senza esclusione di colpi per accaparrarsi fette di mercato in Asia. Risultato: i barili prodotti aumentano e il loro prezzo di vendita cala oltre il dovuto.

CHI GUADAGNA (E CHI PERDE)

Questa drastica diminuzione del costo del petrolio ha effetti geopolitici ed economici ben definiti. Il quadro è complesso. L’Isis avanza in Medio Oriente e non solo. La Russia, il terzo produttore mondiale, è imbrigliato nella crisi ucraina. Irak, Siria, Nigeria e Libia, tutti produttori di petrolio, sono in subbuglio. A beneficiare del calo dei prezzi, sottolinea l’Economist, che cita fonti del Fondo Monetario Internazionale, è in primo luogo l’economia stessa: nelle stime, un calo del 10% nel costo della materia prima coincide con un aumento dello 0,2% nel prodotto interno lordo mondiale. Entrando nello specifico, aree manifatturiere come Usa, Cina o alcuni Paesi europei avrebbero giovamento da una prolungata diminuzione del prezzo, che si scaricherebbe positivamente sul costo del prodotto finale. Mentre i produttori, specialmente i petrostati del Golfo caratterizzati da un’economia incentrata sugli idrocarburi, alla lunga pagherebbero la diminuzione di introiti che spesso sostengono i servizi degli stessi Paesi.

EFFETTO SANZIONI

Se si guarda a Mosca, poi, l’effetto è duplice. Come rileva il Washington Post, nei primi otto mesi del 2014, la vendita di petrolio e derivati è coincisa con il 46% delle entrate del budget russo. Con cifre come queste, un calo ingente del prezzo del petrolio aiuterebbe a raggiungere lo scopo politico delle sanzioni derivanti dalle tensioni al confine con Kiev. Idem per l’Iran, la cui produzione petrolifera è già monca per le sanzioni occidentali, legate stavolta al suo programma nucleare. Un ulteriore diminuzione del prezzo – e quindi delle entrate – potrebbe costringere Tehran a scendere a compromessi e rivedere la sua politica.



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