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A Roma il sogno americano di Norman Rockwell

Roma torna a sognare con gli americani. No, non parliamo del calcio capitolino e dell’imprenditore James Pallotta che ha preso il comando della squadra giallorossa: è la cultura popolare oggi la protagonista della scena romana, con la mostra allestita nelle sale di Palazzo Sciarra, in via del Corso, dedicata al genio di Norman Rockwell (1894-1978), il re degli illustratori statunitensi.

Più di trecento copertine del “Saturday Evening Post” hanno reso Rockwell il più importante “narratore” grazie alle immagini, e la sua scuola ha segnato il mondo dell’illustrazione: la necessità di rappresentare settimanalmente gli aspetti più intimi e segreti della società americana ha costituito un eccezionale palcoscenico e insieme una finestra privilegiata da cui guardare e attraverso cui mostrarsi in un dialogo continuo con il proprio pubblico, con la propria società.

CHI ERA ROCKWELL

La presentazione alla stampa (la mostra è aperta dall’11 novembre all’8 febbraio del prossimo anno) ha permesso di guardare il lavoro di Rockwell con il “padrone di casa”, il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Francesco Maria Emanuele, che negli anni Sessanta conobbe l’artista, e che di Rockwell tratteggia un sapiente ritratto: “Da cronista del suo tempo, che è poi il Novecento, nella sua pressoché totale interezza, Rockwell ha saputo porsi con delicato equilibrio tra idealismo e realtà; le opere che nascono dalle sensazioni e dal ragionamento intuitivo dell’autore sono come finestre aperte sulla vecchia America, da cui egli stesso ama sporgersi per osservare, riflettere o semplicemente divertirsi.

Con straordinaria abilità Rockwell fissa sulla superficie del supporto gesti, sentimenti e status symbol ricavandoli dalla vita quotidiana di persone comuni – la micro storia – che racconta attraverso l’efficacia del disegno carico di umorismo e sentimentalismo. La pittura “magica”, generata di riflesso dalla fotografia – che Rockwell adopera come punto di partenza –, si fa a tratti nostalgica, avvolta di realismo quasi fiabesco e comunque ornato di spensierato colore avvolto dal chiarore meridiano della luce che emana quel senso di ottimismo e di fiducia nel futuro, assai tipico del suo tempo.

ILLUSTRAZIONE TRA DOLORE E IRONIA

Nell’epoca dell’illustrazione divulgativa, insomma, Rockwell esprime con occhio sempre acritico e oggettivo la fierezza, il dolore, la delicata ironia – a tratti goliardica – che cede il passo all’amore profondo per ciò che l’autore percepisce come virtù. Mi riferisco in particolare alla tolleranza e al rispetto dei valori – laici o religiosi – che nell’immaginario di Rockwell si trasformano in preziose occasioni in cui affrontare, ad esempio, i drammi della vita, i conflitti, le contraddizioni, l’odio razziale e le ingiustizie sociali. Emblematica in proposito è la serie di quadri Le quattro libertà – che possiamo ammirare in mostra – ispirata al celebre discorso del presidente Roosevelt e pubblicata nel “Saturday Evening Post” per essere poi esposta in numerose città americane al fine di promuovere la raccolta di fondi per la guerra”.

LE OPINIONI DI ECCHER E PLUNKETT

Danilo Eccher, già alla guida del Macro romano e curatore della mostra insieme a Stephanie Plunkett, rileva che “è difficile pensare all’opera di Rockwell senza immergersi e abbandonarsi nel flusso della società americana, nei sogni, nei desideri, nelle paure, nei valori etici di una comunità sociale che nel “secolo breve” ha visto un paese ai margini di un mondo ancora eurocentrico conquistare quel primato che oggi tutti riconoscono agli Stati Uniti. Questo percorso storico è quello raccontato da Norman Rockwell, le sue immagini sono i volti, i paesaggi, le case, le storie di questa società, di un’epoca che ha conosciuto drammi e tragedie, che ha assistito a sorprendenti rinascite, che ha vissuto le più cupe paure e le più lucide libertà. L’importanza di Rockwell risiede innanzitutto nell’aver saputo testimoniare questa storia, nell’essere stato lui stesso artefice della narrazione scegliendo figure e racconti, illustrando speranze, dando voce e volto alla più intima e reale coscienza popolare.Lo straordinario punto d’osservazione rappresentato dalle copertine delle riviste dell’epoca ha permesso all’artista di raccogliere un incredibile vocabolario iconografico con cui tracciare il mondo circostante. Ciò che però rende l’opera di Rockwell così importante non è solo la sua capacità di testimonianza, non è semplicemente la sua tempestività nel cogliere gli umori del presente; vi sono in questa sua ricerca una complessità concettuale e una raffinatezza linguistica che consentono all’artista di moltiplicare i livelli di lettura dell’opera, aggiungendo alla narrazione iconografica, così amata dal pubblico, una più attenta e sofisticata composizione artistica, capace di accarezzare le menti più colte. Vi sono cioè connessioni e riferimenti, abilità e parentele con la storia dell’arte che descrivono panorami critici sorprendenti e innovativi”.

IL RACCONTO DELLA VITA QUOTIDIANA

Come sottolinea Laurie Norton Moffatt, Rockwell è stato una figura di spicco dell’arte americana del Novecento. Per sessantacinque anni ha vestito i panni del cronista della vita americana, raccontandola sulle copertine e sulle pagine delle riviste più prestigiose della nazione e lasciando dietro di sé un patrimonio ineguagliato. La caratteristica che meglio lo definisce è la vocazione a celebrare la quotidianità, a elevare l’ordinario per rivelare lo straordinario. “Le cose ordinarie non sono mai noiose”, scriveva. “Ci vengono a noia quando siamo noi a smettere di essere curiosi e di apprezzarle”. La sua dote maggiore era forse la capacità di vedere ciò che di speciale avevano momenti che altri davano per scontati. Per l’intero corso della sua attività Rockwell trasformò le immagini della vita di ogni giorno in potenti rappresentazioni ricche di humor, di dignità e di richiamo universale, facendo dei suoi oltre quattromila lavori una finestra affacciata sulla vita del XX secolo.

IL LEGAME CON ROMA

Importante il legame con Roma: Plunkett ricorda che Rockwell “negli anni venti fece tre viaggi in Europa, poco dopo la nascita del primo figlio, Jarvis, nel 1931, trascorse otto mesi a Parigi con la famiglia. Nel 1956, mentre era in viaggio per lavoro, Rockwell soggiornò per qualche tempo a Roma eseguendo vivaci disegni delle architetture, delle opere d’arte e dei cittadini alla moda per una campagna pubblicitaria della Pan American Airlines. Negli anni sessanta e settanta, ebbe l’occasione di conoscere bene la città grazie alle visite al figlio minore Peter, che era giunto a Roma nel 1961 per studiare l’arte della scultura in pietra e da allora vi si era stabilito insieme alla famiglia per poi divenire uno stimato scultore e storico dell’arte”.

LA FIDUCIA NEL FUTURO

Quella di Rockwell è anche una storia di lungimiranza e fiducia nel futuro: nel 1973 l’artista creò il Norman Rockwell Art Collection Trust che costituisce il nucleo delle collezioni del museo. Nell’intento di Rockwell, il quale all’epoca aveva settantanove anni, la fondazione doveva impedire che la sua preziosa collezione privata andasse dispersa. Con la sua finalità di educare all’arte e farla apprezzare, il trust possiede circa centoventi opere affidate da Rockwell alle cure e alla custodia permanenti del museo di Stockbridge, all’epoca appena aperto. Fanno parte della collezione alcune delle opere più rappresentative dell’artista, tra cui Triple Self-Portrait (Triplo autoritratto, 1960), Going and Coming (Andata e ritorno, 1947), Girl at Mirror (Ragazzina allo specchio, 1954), The Runaway (Il fuggiasco, 1958), Marriage License (La licenza di matrimonio, 1955), Main Street Stockbridge, 1967) e The Four Freedoms (Le quattro libertà, 1943). Rockwell conservò per tutta la vita la prima copertina da lui realizzata per il “Saturday Evening Post”: con Boy with Baby Carriage (Ragazzino con carrozzina), del 1916, ebbe inizio infatti una delle collaborazioni artista-editore meglio riuscite, tanto che Rockwell creò per la rivista trecentoventuno copertine. Nel corso di tale sodalizio, durato quarantasette anni, i soggetti andarono cambiando: dalle scene divertite e spensierate dei primi tempi, con ragazzini e adolescenti per protagonisti, a quelle che raccontavano le invenzioni, la storia, i mutamenti sociali e le toccanti sfumature delle fasi della vita. La sua ultima copertina realizzata per la rivista, Portrait of John F. Kennedy (Ritratto di John F. Kennedy, 1960), sarebbe poi stata pubblicata una seconda volta in occasione della morte del presidente nel 1963.

Accompagna la mostra romana un esaustivo catalogo pubblicato da Skira.



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